Se il modello non è un modello

La notizia del giorno, tra le mille che quotidianamente affollano e affliggono le nostre giornate, è senz’altro la definitiva approvazione da parte del Parlamento Europeo della norma che vieterà la vendita di auto con motore endotermico (anche ibrido) a partire dal 2035. Manca l’approvazione del Consiglio Europeo ma pare che ormai sia cosa fatta. Voluta nell’ambito del piano Fit for 55 per il dimezzamento delle emissioni nel suo territorio per il 2030 che l’Unione ha varato, questa norma, senza entrare nel merito, è un chiaro esempio di policy strategica indotta dalle proiezioni climatiche, ossia da quella giungla di ipotetiche finestre sul futuro economico, industriale, energetico, demografico e, quindi, climatico conosciuta come il CMIP6 (Coupled Model Intercomparison Project).

Al di là della discutibile capacità di questi strumenti modellistici di descrivere il futuro delle dinamiche del clima, tra gli ouput delle proiezioni spiccano due grandezze, entrambe riconducibili alla sensibilità climatica, ossia alla quota di aumento della temperatura ascrivibile ad una corrispondente quota di emissioni. La prima di queste grandezze è la TCR (Transient Climate Response), ossia la variazione di temperatura attesa per un raddoppio della concentrazione di CO2 rispetto al periodo pre-industriale. La seconda è l’ECS (Equilibrium Climate Sensitivity), che rappresenta la variazione di temperatura attesa dopo che il sistema ha raggiunto una nuova condizione di equilibrio dopo il raddoppio della CO2.

Diversamente dagli 1.5 e 2°C scaturiti molto politicamente dalla COP di Parigi di qualche anno fa, queste grandezze sono di importanza fondamentale, perché rappresentano degli obbiettivi pratici con fondatezza scientifica e non politica su cui accordare gli interventi di mitigazione e adattamento. Vale quindi la pena capire se questi output abbiano senso, ossia se rappresentino effettivamente i punti di arrivo di un percorso che il clima avrebbe intrapreso.

Questa indagine, è esattamente quello che ha fatto Nicola Scafetta in uno dei suoi ultimi lavori:

CMIP6 GCM Validation Based on ECS and TCR Ranking for 21st Century Temperature Projections and Risk Assessment – https://doi.org/10.3390/atmos14020345

La premessa, è che sia per la TCR ma, soprattutto per l’ECR, il range di incertezza che scaturisce dai numerosissimi modelli e dalle altrettanto numerose proiezioni del progetto CMIP6, sia tale da lasciare spazio a situazioni che potrebbero definirsi non preoccupanti e ad altre che lo sarebbero eccome. Per cui, nel paper, Scafetta ha composto una classifica di 41 di questi modelli in base alle loro performance nel ricostruire quanto accaduto tra il 1980 e il 2021 a entrambe le grandezze. Di questi 41, quelli che hanno fatto meglio, sono un sottoinsieme di 17, per i quali la TCR va da 1.2 a 1,8°C e l’ECS da 1.8 a 3.0°C. Con questi numeri, questo sottoinsieme di modelli proietta un aumento della temperatura compreso tra 1.5 e 2.5°C per il 2045-2055, vale a dire, qualcosa di cui si può dire che l’impatto sia moderato, non trascurabile, ma certamente non catastrofico, soprattutto considerando il fatto che quasi 1°C di questo aumento lo abbiamo già, decimo più decimo meno in base alle stime.

Un impatto moderato, suggerisce sempre Scafetta, è affrontabile con politiche di adattamento, che sono una cosa piuttosto diversa dalla mitigazione, specialmente se draconiana, vedi provvedimenti sulla mobilità con cui abbiamo iniziato il discorso.

Inoltre, altra sezione interessante del paper, ha senso investigare anche quanto sia accurata la stima del riscaldamento, magari con un paragone tra i dataset delle temperature superficiali globali e altri metodi di definizione della temperatura, come i dati satellitari, gli anelli di crescita degli alberi, e le serie di temperatura che considerino solo le stazioni rurali, libere cioè dal potenziale bias del riscaldamento urbano. Ne risultano delle divergenze importanti, da cui deriva che se le stime del riscaldamento sono inaccurate, la valutazione delle performance dei modelli non può che esserlo altrettanto e, quindi, adottare questi output per la definizione delle policy è inutile ove non dannoso, visto che si identificherebbero soluzioni certamente fuori fuoco rispetto alle esigenze, essendo queste ultime sconosciute.

Questo, naturalmente, è solo un breve riassunto del lavoro di Nicola Scafetta, chi volesse leggere il paper per intero sappia che di libera consultazione.

Enjoy

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