
L’estate 2025 è entrata nel vivo fin da subito, a inizio GIUGNO. Da allora il caldo ha continuato a crescere fino a pochi giorni fa, quando finalmente è arrivata una rinfrescata che ha spezzato il periodo pesantissimo di caldo e afa. La tregua dal caldo è stata molto evidente al Centro-Nord, meno al Sud dove, tra l’altro, il caldo ritornerà atroce a partire dal prossimo weekend.
In questo scenario, l’aria condizionata si sta diffondendo sempre più: per molti, sta diventando una dipendenza quotidiana, un filtro attraverso cui si vive l’estate. Ma cosa comporta questo rapporto sempre più ossessivo con il clima artificiale? È solo una questione di comfort, o ci sta davvero cambiando, anche a livello mentale?
Una soglia di sopportazione sempre più bassa
Chi ha vissuto le estati di qualche decennio fa, senza split, inverter, timer e ventole silenziose, si ricorda di come il corpo si adattasse, sudava, rallentava, ma reagiva. Oggi, al contrario, si fatica a tollerare anche solo 27°C in casa, e il pensiero di una notte senza condizionatore diventa insopportabile.
È una questione culturale, certo, ma anche biologica: l’esposizione continua a temperature costanti e controllate può ridurre la naturale capacità del corpo umano di termoregolarsi, rendendoci più vulnerabili non solo al caldo, ma anche agli sbalzi repentini.
Il cervello si abitua al clima stabile, ma a caro prezzo
Alcuni studi hanno evidenziato come temperature eccessivamente basse negli ambienti chiusi, rispetto a quelle esterne, possano interferire con la nostra concentrazione, l’umore e il ritmo sonno-veglia.
Il cervello, esposto per ore a un ambiente refrigerato, interpreta il mondo esterno come un ambiente ostile, difficile da affrontare. La semplice uscita di casa — magari verso un marciapiede a 38°C — genera un piccolo shock percettivo che il sistema nervoso legge come stress acuto. Ecco perché, anche dopo pochi minuti al caldo, ci sentiamo confusi, irritabili, privi di energia.
Più aria fredda, meno adattamento: un circolo vizioso?
La nostra soglia di tolleranza al caldo si sta abbassando anno dopo anno. Ma il paradosso è che questo abbassamento è anche una conseguenza della nostra strategia per combatterlo. Usando sempre il condizionatore, soprattutto in modalità continua e con temperature molto basse, il corpo si abitua a una monotonia climatica innaturale, perdendo quella flessibilità fisiologica che una volta permetteva di reggere anche le giornate più afose.
In un certo senso, l’aria condizionata ha ridotto la nostra estate a un’esperienza da attraversare in isolamento, passati da un interno chiuso a un altro, filtrando il mondo esterno come se fosse un errore del sistema.
Il caldo percepito aumenta anche per colpa nostra
C’è un altro effetto meno considerato ma fondamentale: il caldo percepito non dipende solo dalla temperatura reale o dall’umidità, ma anche dal contrasto con l’ambiente in cui ci troviamo abitualmente. Un corpo abituato a vivere tra i 22 e i 24°C percepirà i 35°C esterni come insostenibili, molto più di chi vive in modo più graduale l’evoluzione della stagione.
Questa ipersensibilità al caldo è diventata una componente del nostro stile di vita urbano, e la colpa non è solo del clima che cambia: è anche di come noi ci stiamo abituando a non doverlo più sopportare.
Meteo estivo rovente: l’aria condizionata ci sta cambiando il cervello?