L’Italia, il NOAA e l’ipotesi delle “nevicate più forti in 15 anni”, cosa c’è di vero

(TEMPOITALIA.IT) Non è solo un titolo che accende la fantasia. L’idea che l’Italia possa vivere “le nevicate più forti in 15 anni” apre subito un bivio: suggestione o scenario fisicamente plausibile? L’Atlantico in questo Novembre è più caldo del normale, la colonna d’aria sopra l’oceano porta più umidità, e le perturbazioni che arrivano sul Mediterraneo hanno spesso una marcia in più. Ma quanto basta per parlare di record imminenti? Per rispondere bisogna seguire il filo fino in fondo, senza strappi, perché la risposta sta nei dettagli che legano oceano, atmosfera e il nostro fragile “cuscinettopadano.

Prima di tutto, una precisazione: non esiste un bollettino ufficiale che annunci per l’Italia un primato nevoso su base pluriennale. Le agenzie scientifiche internazionali monitorano oceani e clima, segnalano anomalie e forniscono tendenze, ma non stilano classifiche preventivate per un singolo Paese. Eppure alcune tessere del mosaico, quest’anno, si incastrano in modo interessante. L’Atlantico sopra media, la progressiva pressione dell’aria fredda dal Nord Europa e la possibilità che la Val Padana costruisca un “lago” gelido al suolo. È in questa combinazione che maturano le sorprese.

 

Un oceano più caldo, un’atmosfera più carica

Quando la superficie dell’Atlantico sale oltre la norma, l’intera colonna d’aria soprastante può trattenere più vapore. La fisica è semplice: l’aria calda “porta” più umidità, circa il 7% in più per ogni grado in più, secondo la relazione di Clausius–Clapeyron. A parità di configurazione sinottica, le perturbazioni dispongono quindi di più “carburante”. Anche se i giorni piovosi possono diminuire, i singoli episodi tendono a diventare più intensi. Nel linguaggio dei meteorologi non è un paradosso ma un segnale coerente di un’atmosfera che, scaldandosi, concentra gli eventi estremi.

Lo abbiamo visto di recente anche alle alte latitudini. Il settore subpolare dell’Atlantico ha attraversato fasi calde rispetto alla climatologia, e quando impulsi freddi scorrono sopra quelle acque, la condensazione diventa più efficiente. A fine Ottobre, l’Islanda ne ha avuto un esempio lampante con Reykjavík alle prese con una nevicata eccezionale: aria fredda ben presente, umidità abbondante e una ciclogenesi capace di tradurre quel surplus di vapore in neve fitta e persistente. È lo stesso “motore” che, alle nostre latitudini, può trasformare un fronte atlantico in un episodio di piogge molto intense sulle coste tirreniche e sui rilievi esposti.

 

La scia degli uragani e il Mediterraneo che reagisce

Tra Ottobre e Novembre, quando la stagione degli uragani atlantici si avvia alla chiusura, molte tempeste nate tra Mar dei Caraibi e Atlantico occidentale piegano verso nord-est e intraprendono la transizione extratropicale. In pratica, perdono la struttura “calda” tipica dei tropici e assumono fronti e contrasti termici propri delle medie latitudini. Durante questo passaggio la copertura nuvolosa può aumentare e le precipitazioni organizzarsi su scala vasta, specie se l’oceano sottostante è anormalmente caldo. Per Europa occidentale e bacino del Mediterraneo, significa fronti più vitali alla fine di lunghe corse oceaniche, con piogge corpose su coste e pendii rivolti al flusso umido.

Non ogni ciclone tropicale in transizione ci riguarda, naturalmente. Ma quando le traiettorie s’incontrano con un Mediterraneo ancora mite e una circolazione favorevole, l’apporto di umidità e l’energia disponibile crescono. È qui che, a parità di dinamica, i fenomeni diventano più “pieni”: rovesci intensi, linee temporalesche persistenti, nubifragi localizzati. Negli ultimi anni, Europa e Italia hanno già sperimentato questo pattern, con una diminuzione dei giorni piovosi in alcune aree ma un aumento della severità degli eventi più intensi.

 

Italia: precipitazioni meno spesso, più forti. E con la neve?

Nel nostro Paese la fotografia è nitida: la frequenza delle precipitazioni diffuse è spesso inferiore rispetto al passato recente, ma i singoli episodi tendono a essere più intensi. Sulle regioni tirreniche, le perturbazioni atlantiche, arricchite dall’umidità, sbattono contro gli Appennini, che forzano la risalita dell’aria e potenziano la pioggia orografica. Sul versante adriatico, l’interazione con episodi di bora può comprimere le masse d’aria umida verso i versanti e rendere i rovesci insistenti. Questi meccanismi sono noti da decenni; la differenza è che, con l’oceano più caldo, gli accumuli a parità di sinottica possono crescere.

E la neve? Qui entra in scena un protagonista tipicamente italiano: il cuscinetto padano. Tra fine Novembre e la prima parte di Dicembre, se l’aria fredda dilaga sull’Europa settentrionale e scivola a tratti verso il Nord Italia, la Val Padana può intrappolare uno strato gelido nei bassi livelli, soprattutto sotto campi di alta pressione. È un lago freddo al suolo, separato da aria più mite in quota. Quando un fronte umido lo sorvola, i fiocchi possono scendere a quote molto basse e, con termometri prossimi a 0 °C, raggiungere le città. Accade meno spesso di una volta perché la quota neve media è salita, ma resta possibile se il cuscinetto è ben strutturato e alimentato da nuovi apporti continentali da nord-est.

 

Il nodo delle “nevicate più forti in 15 anni”

Secondo lo scenario prospettato, “le nevicate più forti in 15 anni” sono una possibilità ma non una previsione scientifica. La neve è il risultato di un incastro preciso: freddo nei bassi strati, arrivo puntuale della perturbazione giusta, tempistiche serrate. Se manca una sola tessera, la quota neve si rialza rapidamente o, peggio, si passa dalla neve alla pioggia gelata e poi alla pioggia fredda. La termica in quota da sola non basta; conta come la colonna atmosferica è stratificata, quanto è spesso e “denso” il cuscinetto e come si muove il fronte. Per questo un oceano più caldo aumenta la probabilità di precipitazioni abbondanti, ma non garantisce affatto l’evento nevoso eccezionale senza la base fredda adeguata.

La recente nevicata record di Reykjavík non contraddice il Riscaldamento Globale. In presenza di aria sufficientemente fredda, un’atmosfera più ricca di vapore produce precipitazioni più abbondanti, e quindi più neve dove le temperature lo consentono. Allo stesso modo, in Italia possiamo osservare meno episodi nevosi in pianura rispetto a decenni fa, ma con un potenziale per eventi tosti quando cuscinetto freddo e perturbazioni oceaniche “cariche” si incontrano al momento giusto.

 

Cosa guardare tra fine novembre e dicembre

Per capire se si aprirà davvero una finestra favorevole alla neve a bassa quota, servono quattro ingredienti. Primo, lo stato delle anomalie di temperatura dell’Atlantico: oceano più caldo significa più vapore a disposizione. Secondo, il gradiente termico tra Europa settentrionale e Mediterraneo: maggiore è il contrasto, più probabile è la discesa di aria fredda nei bassi strati. Terzo, la formazione e la tenuta del cuscinetto padano: senza un lago gelido al suolo, la neve fatica a spingersi in pianura. Quarto, la traiettoria delle perturbazioni: un fronte che “passa alto” porta pioggia e vento; uno che impatta l’arco alpino e scavalca con decisione ha più chance di attivare nevicate diffuse sul Nord e, a tratti, sulle conche interne del Centro.

Nel frattempo non bisogna escludere l’ipotesi opposta, quella di una configurazione bloccata che dirotta le perturbazioni lontano dal Mediterraneo, imponendo settimane stabili, fredde ma secche. È uno dei motivi per cui la diagnosi dell’inverno “vero” resta complessa e spesso si decide tra Dicembre e le Feste.

Cosa dice la scienza del clima

Le grandi sintesi climatiche degli ultimi mesi convergono su alcuni punti chiave. L’oceano globale è rimasto eccezionalmente caldo, incrementando l’umidità atmosferica e la probabilità di precipitazioni intense. In Europa, l’anno appena trascorso ha mostrato un contrasto marcato tra aree più calde e secche e zone più fresche e piovose, con episodi alluvionali estesi in vari Paesi occidentali. In questo contesto, i “picchi” – di pioggia o di neve – diventano più probabili quando la dinamica li favorisce. Non è una promessa di record, ma un invito alla prudenza nell’interpretare ogni singolo segnale. Per l’Italia, il gioco resterà quello di sempre, reso più sensibile da un oceano caldo: se il freddo resterà nei bassi strati fino all’arrivo del fronte, la neve potrà spingersi molto in basso; se la tempistica salterà, il risultato sarà pioggia intensa.

Credit: NOAA OSPO, IPCC AR6 WG1 Chapter 11, NOAA/AOML – Extratropical Transition, RÚV – Ice and snowfall in many places, WMO – State of the Global Climate 2024, Copernicus C3S – European State of the Climate 2024 (TEMPOITALIA.IT)

L’Italia, il NOAA e l’ipotesi delle “nevicate più forti in 15 anni”, cosa c’è di vero