
(TEMPOITALIA.IT) Quando parliamo di freddo, quello vero, spesso facciamo di tutta l’erba un fascio. Sentiamo un brivido lungo la schiena, ci stringiamo nel cappotto e diamo la colpa all’inverno. Eppure, per chi osserva il cielo con occhio attento – o per chi, semplicemente, deve prevedere se domani serviranno le catene a bordo – le sfumature sono tutto. Non esiste un solo tipo di freddo. C’è quello umido che ti entra nelle ossa, tipico delle correnti atlantiche, e c’è quello tagliente, secco, che sembra quasi cristallizzare l’aria.
Oggi ci concentriamo su un attore protagonista degli inverni nel Vecchio Continente: l’aria di origine polare. Ma attenzione, non quella che arriva dritta dall’oceano, mitigata e carica di pioggia. Parliamo di quella massa d’aria che, pur nascendo alle alte latitudini, decide di compiere un tragitto diverso, più aspro. Un viaggio che la porta a sorvolare le terre emerse, le distese innevate della Scandinavia o, nei casi più intensi, il settore nordoccidentale della Russia. È qui, in questo transito terrestre, che la massa d’aria cambia pelle. Si, perché il percorso conta quasi più dell’origine.
La genesi del freddo continentale
Immaginate una massa d’aria che si stacca dal circolo polare. Se scivola sull’Atlantico, l’oceano – che d’inverno è relativamente caldo rispetto alla terraferma – le cede calore dal basso. La “addolcisce”, per così dire. Ma se quella stessa aria decide di scendere attraverso il continente, la musica cambia. La Scandinavia e la Russia europea, in questa stagione, sono spesso ricoperte di neve. E la neve ha una proprietà fisica fondamentale: l’albedo. Riflette la radiazione solare e mantiene il suolo gelido.
L’aria che vi transita sopra non trova calore. Anzi. Perde progressivamente energia per irraggiamento notturno, si raffredda nei bassi strati, si appesantisce. Diventa una lama. Quando questa massa d’aria, ormai “continentalizzata”, punta verso l’Europa centrale e poi verso il Mediterraneo, porta con sé caratteristiche ben precise: temperature rigide a tutte le quote e un tasso di umidità decisamente più basso rispetto alle cugine marittime. È un freddo più “nobile”, se vogliamo usare un termine improprio, che regala cieli spesso limpidi ma temperature che, al suolo, possono crollare vertiginosamente.
L’impatto sul Nord Italia: il paradosso delle Alpi
Qui la faccenda si fa interessante, e anche un po’ controintuitiva per i non addetti ai lavori. L’Italia, geograficamente, è protetta – o condannata, a seconda dei punti di vista – dalla formidabile barriera delle Alpi. Quando queste correnti polari scendono da nord o da nord-ovest, si trovano davanti un muro di roccia alto migliaia di metri. Che succede? L’aria si accumula sul versante estero (svizzero o austriaco), addossandosi ai crinali. È il cosiddetto “stau”, che scarica metri di neve oltralpe.
Ma al di qua? Nel Nord Italia, specialmente in Pianura Padana, l’ingresso di quest’aria fredda è spesso traumatico, ma non nel senso che ci si aspetterebbe. In una prima fase, il freddo “non passa”. O meglio, passa solo saltando la barriera e ricadendo giù verso le pianure di Piemonte e Lombardia. Scendendo, l’aria si comprime. E comprimendosi, per le leggi della termodinamica, si riscalda e si secca.
È il favonio, o Foehn. Diciamolo chiaramente: è un momento surreale. Magari veniamo da giorni di nebbia gelida, con temperature inchiodate vicino allo zero, ed ecco che improvvisamente si alza un vento impetuoso. Il cielo si pulisce in un istante, diventa di un azzurro quasi finto, e il termometro schizza verso l’alto. Possiamo trovarci con 15°C o anche 20°C in pieno inverno a Torino o Milano, mentre oltralpe infuria la bufera. L’aria diventa secca, elettrica. Molti soffrono di mal di testa, l’umidità crolla. In questa fase, il freddo polare, paradossalmente, porta un “caldo” effimero.
Ma è un inganno. Appena il vento di caduta cessa, appena la spinta barica si allenta, le caratteristiche originali della massa d’aria – che nel frattempo ha “lavato” la pianura – prendono il sopravvento. I cieli sereni favoriscono la dispersione del calore durante la notte. Le temperature crollano di nuovo, spesso più in basso di prima. Si riforma quel “cuscinetto freddo” nei bassi strati che sarà poi fondamentale, in un secondo momento, per permettere alla neve di cadere fino in pianura se dovesse arrivare una perturbazione più umida dall’Atlantico. Insomma, il Nord vive una montagna russa termica: prima il vento tiepido, poi il gelo notturno.
Il Centro-Sud e la reazione del Mediterraneo
Se al Nord le Alpi fanno da scudo e da filtro, nel resto d’Italia la situazione è diametralmente opposta. L’aria polare, aggirando l’arco alpino (spesso dalla Valle del Rodano o dalla Porta della Bora), si getta nel bacino del Mar Mediterraneo. E qui avviene lo scontro. Dobbiamo immaginare il nostro mare come una grande riserva di energia. Anche in inverno, la temperatura superficiale dell’acqua si mantiene relativamente mite, sicuramente molto più calda dell’aria che le sta scorrendo sopra a gran velocità.
Il contrasto è esplosivo. L’aria gelida a contatto con il mare tiepido si destabilizza dal basso. Si formano nubi imponenti, cumuliformi, cariche di precipitazioni. È la “fabbrica delle depressioni”. Mentre al Nord c’è il sole e il vento secco, sul Mar Tirreno e sulle regioni centro-meridionali si scatena il maltempo. E dato che la colonna d’aria è molto fredda a tutte le quote, la quota neve crolla.
Non è raro, in queste configurazioni, vedere la neve fare la sua comparsa in luoghi che solitamente la guardano solo in cartolina. È la condizione ideale per vedere i fiocchi in Sardegna, magari non solo sul Gennargentu ma fino alle zone collinari o, in casi eccezionali, verso le coste. L’aria polare che entra dalla valle del Rodano (il maestrale, per intenderci) colpisce duro il versante tirrenico.
Neve a Roma e Firenze: quando la storia si ripete
È proprio con queste dinamiche, spesso definite di “rodanata” o di irruzione polare marittima-continentale, che si verificano gli eventi più suggestivi nelle città d’arte. Firenze e Roma non sono città da neve. Il loro clima non lo prevede, se non come eccezione. Eppure, quando l’aria è quella giusta – quella che ha attraversato la Francia o la Germania innevata e si tuffa nel Tirreno – la magia accade.
A differenza delle irruzioni di aria gelida dai Balcani (che portano la neve in Adriatico, da Rimini a Bari), queste configurazioni premiano il lato occidentale. L’instabilità si accanisce su Toscana, Lazio e Campania. Vedere il Colosseo o la Cupola del Brunelleschi imbiancati non è frutto del gelo siberiano – che è secco e sterile su quelle zone – ma di questa aria polare instabile. C’è un dettaglio sensoriale che accompagna spesso queste nevicate: la gragnola. Non è grandine, e non è nemmeno il classico fiocco a stella. Sono palline bianche, opache, simili a polistirolo, che rimbalzano al suolo facendo un rumore caratteristico. Accade quando l’aria in quota è talmente fredda che i fiocchi non fanno in tempo a strutturarsi completamente o attraversano strati turbolenti. È il segnale inequivocabile che l’aria polare è arrivata a destinazione, conservando gran parte della sua energia originaria.
Le differenze con il freddo dell’Est
Bisogna fare un distinguo importante, perché spesso si confonde l’aria polare (che scende da Nord) con l’aria pellicolare russa o siberiana (il famoso Burian). Quest’ultima arriva da Est-Nordest. È un freddo diverso, più “cattivo” in termini di temperature pure, ma spesso molto secco, sterile. Quando arriva il vento dai Balcani, l’Adriatico ribolle (il famoso Adriatic Sea Effect Snow), seppellendo sotto metri di neve l’Abruzzo e la Puglia, ma lasciando Roma e il Tirreno sotto un sole splendente e ventoso.
L’aria polare di cui stiamo parlando oggi, quella che transita sulla Scandinavia e punta il Mediterraneo centrale, è più democratica, o forse solo più caotica. Distribuisce il maltempo in modo irregolare, crea minimi di bassa pressione che vagano per i mari italiani, spostando le piogge e le nevicate da una regione all’altra nel giro di poche ore. È una situazione meteorologica dinamica, difficile da prevedere nel dettaglio fino all’ultimo minuto. I modelli matematici, anche i più avanzati come quelli del centro europeo ECMWF, faticano a volte a inquadrare l’esatta posizione del minimo depressionario. E si sa, basta uno spostamento di 50 chilometri del vortice per trasformare una nevicata epocale in una pioggia fredda e fastidiosa.
Il ruolo del Vortice Polare
Tutto questo, ovviamente, non avviene per caso. A dirigere l’orchestra, lassù, c’è sempre lui: il Vortice Polare. Immaginatelo come una grande trottola di venti che gira sopra il Polo Nord. Quando la trottola gira forte (è compatta), il freddo resta confinato lassù, alle alte latitudini. Noi ci godiamo inverni miti, anticiclonici, a volte persino noiosi. Ma quando il vortice rallenta, o si “disturba” (magari a causa di un riscaldamento improvviso della stratosfera, lo Stratwarming), inizia a ondulare. Si formano delle sacche, dei lobi di aria gelida che scivolano verso sud, come colate di lava fredda. È in quei momenti che l’aria polare trova la strada per l’Europa. È come se si aprisse un cancello.
In questi ultimi anni, abbiamo assistito a dinamiche molto varie. A volte il freddo ci ha sfiorato, dirigendosi verso la Spagna o la Grecia. Altre volte ha puntato dritto sull’Italia. La variabilità è la regola. Non c’è un inverno uguale all’altro proprio perché le traiettorie dell’aria non sono binari prestabiliti. Insomma, l’aria polare continentale è un ingrediente prezioso per l’inverno mediterraneo. Senza di essa, avremmo solo la pioggia atlantica o il sole degli anticicloni africani. È lei a portare il dinamismo, il rimescolamento, a pulire l’aria inquinata delle nostre città (grazie al vento) e a regalare quella luce cristallina che solo le giornate invernali sanno offrire.
Cosa aspettarsi quando “aprono la porta”
Quando le previsioni annunciano l’arrivo di questa massa d’aria, la reazione è sempre duplice. Da un lato c’è l’allerta: il vento forte, i mari in burrasca, il rischio idrogeologico che purtroppo accompagna sempre i forti sbalzi meteo nel nostro fragile territorio. Dall’altro, c’è quel fascino ancestrale per la neve. Vedere i fiocchi cadere a quote basse è un evento che ferma il tempo. Blocca il traffico, certo, crea disagi, ma ridisegna anche il paesaggio urbano e rurale. E mentre al Nord magari imprecano perché il Foehn ha fatto venire il mal di testa e sciolto quel poco di neve che c’era, al Centro o al Sud i bambini (e non solo loro) guardano fuori dalla finestra aspettando che la pioggia si trasformi in gragnola, e poi in neve silenziosa.
È il ciclo dell’atmosfera. Un respiro freddo che parte da lontano, sorvola le foreste svedesi, salta le Alpi, si carica di umidità sul nostro mare e finisce per imbiancare un uliveto in Umbria o una spiaggia in Sardegna. È la meteorologia che si fa spettacolo, complessa e mai banale, capace di ricordarci quanto siamo piccoli di fronte alle grandi manovre dell’atmosfera.
Credits: Dati e analisi climatologiche a cura di NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) e ECMWF (European Centre for Medium-Range Weather Forecasts). (TEMPOITALIA.IT)