È tradizione di ogni COP che, giunti a metà della seconda settimana di lavori, gli osservatori comincino a delineare i primi bilanci e, a questo punto, cominciano a nascere i primi dubbi: la Conferenza sarà un fallimento come le precedenti o sarà coronata dal successo?
La COP 27 non fa eccezione e, anche in questo, rispecchia totalmente la tradizione. Gli osservatori valutano attentamente i documenti elaborati dalle varie sezioni in cui si è suddivisa la Conferenza e, oltre a valutare il numero delle parentesi quadre e delle opzioni, cominciano a considerare i singoli vocaboli o gruppi di vocaboli che compaiono nelle bozze più o meno definite. Oggi ha suscitato un certo interesse la modifica di una parola nella bozza di documento riguardante l’item 13 dell’agenda, ovvero gli obiettivi a lungo termine delle azioni deliberate nelle Conferenze. Uno dei principali obiettivi che il documento si prefigge di raggiungere, è il contenimento dell’incremento delle temperature al di sotto di 1,5°C. Ieri si era diffuso il panico: Cina ed India alla testa di oltre settanta Paesi sembravano orientate a voler rivedere gli accordi raggiunti durante la COP 26 che fissavano tale obiettivo e tornare a quanto stabilito a Parigi. Si sosteneva, infatti, che fosse più conveniente puntare all’obiettivo dei 2°C concordato a Parigi, piuttosto che dissanguarsi nel tentativo di contenere l’incremento delle temperature entro 1,5°C rispetto all’era preindustriale. Grazie ad intense trattative si è raggiunto un compromesso: la parola “catastrophic”, riferita agli effetti del superamento di 1,5°C di aumento delle temperature globali rispetto all’era preindustriale, è stata sostituita dalle parole “increasingly severe”. Quindi l’obiettivo va raggiunto perché gli effetti, pur non essendo catastrofici, saranno sempre più gravi.
Premesso che è ormai opinione diffusa che l’obiettivo dell’incremento di 1,5°C è irrealistico, nell’ambiente della COP ci si ostina a volerlo “tenere in vita” ad ogni costo, soprattutto da parte dei Paesi occidentali. Più pragmatici di noi, i cinesi e gli indiani avevano proposto, giustamente, secondo me, di lasciar perdere l’ormai irraggiungibile obiettivo e passare a quello dei 2°C. Con un artifizio lessicale si è aggirato l’ostacolo: la soluzione, da una parte, soddisfa i sostenitori dei famigerati 1,5°C di incremento e dall’altra rende più facile il lavoro di demolizione che nei prossimi anni verrà posto in essere da chi ormai non ci crede più. Una cosa è rimuovere un limite il cui superamento comporta danni catastrofici ed un’altra è rimuovere un vincolo, il cui superamento produce danni sempre più gravi. Sembra una questione di lana caprina (e forse lo è), ma agli occhi dei delegati sembra rivestire molta importanza. Il semplice fatto che si sia fatto ricorso a questo stratagemma ha fatto sorgere moltissimi dubbi circa le intenzioni delle Parti di venir meno alle promesse fatte ed agli impegni assunti: dubbi atroci per chi segue le COP sperando che possano dare ciò che non è nelle loro possibilità.
Per quel che riguarda le altre questioni in sospeso, pochi sono stati i progressi registrati. I testi sull’art. 6 sono ancora infarciti di parentesi quadre e di opzioni anche se il loro numero è diminuito in modo rilevante. Molte sono, come al solito, le discussioni intorno al meccanismo di perdite e danni, con l’Europa che promette molto (e mantiene poco) e gli USA che non ne parlano proprio (Biden ha glissato l’argomento nel suo intervento) ed ha preferito concentrarsi su altri tipi di aiuti, più remunerativi per il suo Paese.
La cosa ha fatto indispettire soprattutto i piccoli Stati insulari che hanno sempre più dubbi circa le reali intenzioni dei Paesi sviluppati di tener fede ai loro impegni: come dargli torto?
C’è ancora molto da lavorare, visto che in qualche caso si è fatta marcia indietro: il testo del documento sul punto 12 dell’Agenda (implementazione delle misure di risposta ai rischi derivanti dal cambiamento climatico) che ieri sembrava concordato, essendo sparite le parentesi e le opzioni, oggi è ricomparso con ben 62 parentesi e 7 opzioni. I delegati fanno una spietata concorrenza ai gamberi.
Qualche interesse ha suscitato la proposta dell’India, di inserire nei testi il riferimento ad una graduale eliminazione di tutti i combustibili fossili. Molti hanno il dubbio che la proposta nasconda qualche tranello, ma molti sono disposti a rischiare, per vedere se quello dell’India sia o meno un bluff. Personalmente credo che l’aggettivo “graduale” rappresenti la chiave di lettura della proposta. Essa toglie significato all’idea di fare a meno dei combustibili fossili, in quanto sposta ad una data indefinita la drastica soluzione proposta. Buoni negoziatori gli indiani, non c’è che dire.
Delineato il quadro generale dei lavori, non ci resta che dare un’occhiata agli eventi coreografici che circondano la Conferenza e gettano polvere negli occhi dell’opinione pubblica. Grande interesse mediatico ha suscitato la visita del presidente eletto del Brasile Lula che ha infiammato gli animi dei delegati e degli attivisti, con la proposta di far svolgere una delle prossime COP in Amazzonia e la promessa di bloccare la deforestazione e consentire il rimboschimento delle aree private della loro copertura arborea. Qualche polemica è stata suscitata, però, dal fatto che per raggiungere Sharm el-Sheikh egli abbia fatto ricorso al “passaggio” su un aereo privato offertogli da un suo facoltoso sostenitore. Questi politici non imparano mai: l’inquinante aereo, invece della sostenibile barca a vela!
Da registrare, infine, la rinnovata volontà (a parole) di impegnarsi congiuntamente nella lotta ai cambiamenti climatici, emersa dopo i colloqui tra il Presidente degli USA e quello cinese a latere del G20 di Bali. Per inciso sono stati molto pochi gli impulsi ad una buona riuscita della COP 27 giunti da Bali: evidentemente altri erano gli interessi predominanti nel summit indonesiano.
DonatoCi si avvia, quindi, alla conclusione dei lavori con un bottino piuttosto magro, ma poiché non si può lasciare l’Egitto a mani vuote, il Consesso non si concluderà nella giornata di venerdì, come da programma, ma nei giorni seguenti. Il dubbio è: quanto dureranno i “tempi supplementari”?