Dammi un cellulare, e ti distruggerò il Mondo

Agosto 22, 2023 Off Di miometeo

Nell’uscire dal lavoro ricevo un messaggio dall’amico Beretta che mi informa dell’ennesimo imperdibile articolo di Repubblica dal titolo: “Crisi climatica, il Papa e l’allarme per gli eventi estremi di questa estate: Sto scrivendo la seconda parte della Laudato sì”.

Con queste premesse sarà sicuramente una enciclica ispirata”, ho pensato sorridendo mentre mi avviavo alla macchina imperlato di sudore e rispondevo ad Andrea su Telegram. E mi è tornata in mente una domanda che spesso mi frulla nella testa, in questi giorni di narrativa clima-stracciona falsa come una moneta da 3 euro. Ovvero, qual è il processo che permette di distorcere i fatti in modo così sfacciato? Cosa consente alla narrativa dominante di raccontare il falso, quando il vero è pure alla portata di tanti?

Questione di tempi

Una risposta me la sono data: è tutta una questione di tempi. Il fattore “tempo” è spesso il convitato di pietra in tante questioni di difficile interpretazione. Ben lungi dallo sfidare Einstein nel campo della relatività, gli esempi per noi comuni mortali si sprecano. Per esempio, l’acquisto di una azione in borsa potrebbe essere un pessimo affare nel breve, ma regalare grandi soddisfazioni nel medio termine: non conta solo il valore intrinseco dell’asset, ma anche la fotografia del suo valore al momento dell’acquisto e nel momento in cui lo si vende.

Ecco, è proprio una questione di istantanee, e di vendita. È grazie alla gestione di quelle istantanee che la normalità viene venduta come emergenza: un problema locale diventa planetario, un evento di qualche minuto dura una eternità. E una parte politica può investirsi della responsabilità di “salvare il mondo”, e trilioni di dollari affluiscono come un fiume in piena per raggiungere il nobile scopo in questione.

Serve qualche esempio? Bene, allora partiamo proprio con quello che è successo questa estate, e che ha originato le legittime preoccupazioni del Santo Padre. Una settimana di caldo anomalo dopo 4 settimane di giugno funestate dalle piogge e 3 settimane di luglio benedette da temperature normalissime è bastata per scatenare, letteralmente, l’inferno. L’Italia va a fuoco! Palermo in cenere! I boschi italiani in fumo! E anche la Grecia!!

Il tutto condito dall’immancabilmente disperato (e menagramo) appello: “Fate Presto!” Il messaggio sarà pure drammatico e pressante, ma lo vogliamo fare il piccolo sforzo di capire veramente cosa sta succedendo ai polmoni verdi italiani, europei e del Mondo tutto?

Global Greening

Negli ultimi 40 anni la superficie verde sulla Terra è aumentata considerevolmente, in modo pressoché lineare, in un vero e proprio Global Greening causato proprio dall’aumento del tenore di CO2. È stata aggiunta in 40 anni un’area verde equivalente a tre volte la superficie degli Stati Uniti. Ogni anno il Mondo si è rinverdito di una superficie pari a 3 volte quella della Gran Bretagna. Ogni secondo la superficie ricoperta da vegetazione sulla Terra aumenta dell’equivalente di 3 campi da calcio.

Questi risultati sono stati confermati da una miriade di ricerche scientifiche, tutte giunte alle stesse conclusioni. E quindi soppresse dai media, quando non presentate grottescamente come “cattive notizie” (ultima, questa perla di Repubblica). Del resto, la CO2 viene pompata nelle serre per aumentare la resa delle piante, e non si capisce perché la stessa cosa non debba accadere anche su scala planetaria. È una questione di mero buon senso, non serve Einstein per capirla (né per prevederla).

Vogliamo essere ancora più puntuali e parlare di incendi? Bene, la superficie verde bruciata in Europa questa estate è la più bassa degli ultimi 10 anni (qui). Alla luce di questi dati, se c’è una emergenza e bisogna fare presto, allora questo può essere un punto di vista legittimo per il piromane, non certo per chi ama i nostri boschi.

Un’istantanea è per sempre

In realtà gli esempi in campo climatologico si sprecano. Nemmeno l’IPCC è stata in grado, infatti, di testimoniare che i cosiddetti “fenomeni estremi” sono in aumento a causa di un mondo più caldo. Non esiste uno straccio di prova, l’ombra di un trend su un grafico che induca a ritenere che andiamo incontro ad una catastrofe “climatica” (ne abbiamo parlato tanto in questi anni, per esempio qui, e recentemente anche il premio Nobel Clauser) Sono dati a disposizione di tutti, ma sistematicamente ignorati dai media, che preferiscono invece citare esclusivamente i modelli di calcolo in base al mantra che “non è ancora successo, ma succederà perché lo dice il modello”.

E allora cosa fai quando i dati non sostengono la narrativa? Semplice: ti affidi ai video e alle foto fatte con i telefonini. E trasformi un istante in qualcosa di molto più duraturo, possibilmente di eterno.

Dilati letteralmente il tempo ripetendo quei racconti e quei filmati all’infinito su tutti i media, lasciando quindi intendere allo spettatore che quel video di pochi secondi con gli alberi sdraiati per terra nei viali di Milano, le case alluvionate in Germania o a Praga, le colline in fiamme in Grecia non siano attimi, bensì un evento che non si è mai concluso, che è tuttora in corso.

Mandi a reti unificate quei fotogrammi e quei video a ripetizione, secondo necessità di narrativa. Finché un nuovo video non arriverà a sostituire i precedenti, e a dilatarsi a sua volta nel tempo del magma dell’informazione unica, prima di cedere il posto ad un altro. In una sequenza ininterrotta di bolle mediatiche che si allungano a dismisura per poi lasciare spazio a quella successiva. Un’altra bolla, un’altra dilatazione nello spazio e nel tempo. Ed è “crisi climatica” ovunque, per sempre.

La media lascia il posto all’estremo

La manipolazione mediatica del tempo atmosferico che si fa clima attraverso la dilatazione del tempo cronologico è una operazione che diventa facilissima oggi.

Lo è innanzitutto perché la narrativa mediatica è una sola, ed è funzionale nel mondo occidentale alle necessità della élite tecnocratica dominante che quei media li controlla nella quasi totalità.

Ma lo è soprattutto perché la cosiddetta “media climatica” non è il risultato di una somma di valori tutti vicini tra loro, bensì quello di una intera gamma di misurazioni che fisiologicamente include anche gli estremi della distribuzione più o meno gaussiana degli stessi.

Per dirla semplice, se la temperatura media massima di luglio a Foggia è di 33 gradi, in quella media ci finiscono anche i 43 gradi di una calda giornata di scirocco e i 23 gradi registrati durante un temporale. Se parlo per tre settimane di quei 43 gradi, dilatando il tempo e trasformandoli in qualcosa di permanente, eccoti allora servita la “crisi climatica”.

E siccome il tempo atmosferico è quanto di più mutevole e volubile, e tangibile ci sia, tra i fattori che influenzano le nostre vite, allora l’esercizio di trasformare l’estremo atmosferico in “crisi climatica” diventa letteralmente un gioco da ragazzi: basta un click con la fotocamera di un cellulare durante una alluvione. Bastano 10 secondi di video registrati durante una grandinata eccezionale.

E l’evento che ieri rimaneva solo negli occhi di un pugno di contadini, e veniva tramandato oralmente in una piccola comunità o finiva miracolosamente in qualche annale dell’epoca, diventa immediatamente globale. Se c’è una tromba d’aria a Milano, è come se ci fosse dappertutto, in ogni parte del mondo. E quei pochi minuti di maltempo, grazie alla sarabanda mediatica dureranno giorni, settimane. Saranno ricordati continuamente, anche ad anni di distanza. E sarà tromba d’aria per sempre.

Vincono facile

L’operazione è tanto semplice quanto garantita nel suo effetto, e perversa nei suoi risvolti liberticidi e potenzialmente autoritari. Osi contestare il mio racconto della tromba d’aria a Milano? Ho il video che lo dimostra: la tromba d’aria c’è stata e se neghi la “crisi climatica” allora vuol dire che neghi l’accadimento dell’evento in questione, che pure è registrato e ti ho servito per 4 settimane di fila a reti unificate su tutti i telegiornali. Ergo sei un negazionista, un terrapiattista, un no-vax, fai schifo e devi essere espulso dalla società.

Il tempo si dilata, la bugia diventa verità incontestabile e il buon senso diventa oltraggio alle istituzioni e alla “scienza costituita”. Non c’è modo di vincere questa guerra, perché i media sono un monolite e l’unico antidoto a tutto questo è quanto di più immateriale ci sia.

Tanto materiale è il video o la fotografia quanto immateriale è la memoria.

Maledetta memoria

Chi ha qualche capello bianco in testa, come chi scrive, ricorda le estati degli anni ’80 e ’90. Anni sicuramente più freschi di questi, eppure letteralmente funestati dagli incendi. Era un bollettino di guerra settimanale, quotidiano. Andavano in fumo migliaia e migliaia di ettari e la cosa era considerata una triste realtà dell’estate italiana.

Per non dire degli autunni, o delle primavere: ogni anno da Ottobre partiva il conto alla rovescia per l’evento che avrebbe distrutto qualche comunità portandosi via decine e decine di vite umane. Toccherà alla Liguria o al Piemonte quest’anno? Forse alla Campania? Una triste lotteria.

Per chi porta memoria, questi anni sono decisamente meno “infuocati” e meno “alluvionati” di quelli passati. E non c’è bisogno del tweet e dei grafici del pur encomiabile Bjorn Lomborg per dimostrarlo: ce lo ricordiamo, e basta. Deve essere per questo, che al di là della parentesi (di comodo, ne avevamo parlato) della pandemia, gli anziani sono così odiati da questo sistema. Perché portano memoria. Ed è più difficile ingannarli raccontandogli un passato da Eden Climatico che non è mai esistito.

Chissà

Sulla soglia di casa, in un ultimo esercizio di immaginazione mi chiedo come sarebbero state usate queste tecniche di disinformazione in passato. Magari Stalin avrebbe mandato a ripetizione filmati di alberi in fiore a Magadan anche durante l’inverno, per raccontare una storia di Global Warming che incoraggiasse volontari a lavorare nelle miniere siberiane sul Mare di Okhotsk.

E chissà se Gesù avesse dovuto valutare Pietro per un video di pochi minuti registrato mentre lo rinnegava, in fuga dal Getsemani. I media dei farisei lo avrebbero mandato H24 su tutte le reti, contrapponendogli come esempio virtuoso il loro “candidato” preferito: il pio e fedele Giuda. Magari gridando alla “emergenza fedeltà” e, ovviamente, chiedendogli di “fare presto”.

Ma non sarebbe servito a nulla. Non ci sarebbe mai cascato.

Lui.

 

 

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