Emergenze psicologiche

Alcuni giorni fa, ho avuto uno scambio su Twitter piuttosto conciso ma, a mio modesto parere interessante, non solo perché in fin dei conti ogni confronto lo è, ma anche perché, di fatto, ha messo in luce un aspetto del nostro vivere totalmente immersi in un mondo della comunicazione fuori controllo che sta facendosi largo ultimamente.

Lo scambio è qui, per chi volesse:

In sostanza, ho risposto all’autore di un articolo che metteva in risalto la possibilità che quella dell’emergenza climatica diventi una psicosi, ovvero che finisca, al pari se non peggio di altre sfide globali con cui siamo (saremmo?) a confronto, per sommare ai danni materiali quelli biologici. Nella risposta, facevo appello alla ragione, ovvero alla possibilità di usarla, magari considerando il fatto non banale che, nell’ultimo secolo, la mortalità da eventi climatici e/o atmosferici estremi è diminuita del 97% circa. Ossia, considerato che nel frattempo la popolazione umana è aumentata vertiginosamente, questo significa che il rischio, seppur presente, è diventato estremamente basso. Questo non vuol dire che non ci sia un problema, ma, se il rischio è basso, perché dovrebbe generare psicosi?

Perché esiste il catastrofismo, quella modalità in cui la comunicazione moderna si dispone automaticamente all’insorgere di un tema di respiro globale. Ne abbiamo visti a profusione, dalla population bomb al picco del petrolio, passando per il milleniun bug, la fase pandemica e, da qualche anno a questa parte, la madre di tutte le catastrofi, appunto il climate change.

Al di là dell’ovvia utilità che questa modalità di comunicazione possa avere per chi i messaggi li confeziona, facendoli diventare sicuramente più remunerativi in termini di pubblico, farvi ricorso, nel lungo termine, rischia di non essere sostenibile. Solleva dalla responsabilità di prendere contromisure ragionate chi dovrebbe farlo, per esempio. Oppure polarizza le opinioni tra quanti – terrorizzati – non concepiscono altro che l’azione a qualunque costo e quanti magari vorrebbero ragionarci su, non necessariamente con gli strumenti giusti ma con la legittima aspirazione di non finire tout court nella categoria monocolore e additabile di chi nega. E ancora favorisce decisioni improvvisate (e improvvide, leggi politiche energetiche e climate change così per dirne una) a sfavore di processi più lenti ma più risolutivi nel lungo termine.

Questi sono solo pochi (pochissimi) tra i tanti spunti che ho trovato a valle di questi ragionamenti in un articolo segnalato da Judith Curry sempre su Twitter di cui vi consiglio la lettura:

Già, si dirà, ma l’emergenza esiste, quindi bene o male devono esistere anche le catastrofi e la relativa psicosi, nevvero?

Non ne sarei così sicuro.

Enjoy

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