C’è una notizia che la gran parte dei media ha ignorato o snocciolato frettolosamente e distrattamente. Si tratta di una notizia che ha implicazioni letteralmente planetarie, ma che proprio per questo non è passata attraverso il filtro di quello stesso sistema che è proprio al centro della notizia in questione.
I pochi (tele)giornaloni che ne hanno parlato l’hanno data in questi termini “Musk denuncia gli editori”. L’ennesima boutade di un tipo eccentrico e comunque troppo ricco per meritare più di 5 secondi in tv o qualche riga di trafiletto.
Il tema ovviamente è un altro, e merita decisamente più approfondimento.
GARM, WAFA (e UPA)
GARM (Global Alliance for Responsible Media) è l’acronimo di una associazione che al di là del nome vagamente orwelliano non dice molto. Eppure il suo potere e il suo impatto nelle nostre vite quotidiane è, per dirla in termini riduttivi, semplicemente gigantesco.
La GARM è stata fondata per iniziativa della WFA (World Federation of Advertisers), un’altra sigla del tutto nuova per noi comuni mortali, che in italiano si potrebbe tradurre come “Federazione Mondiale degli Inserzionisti Pubblicitari”. La WFA è un cartello di aziende che si vanta di rappresentare il 90% degli investimenti mondiali in pubblicità, per un valore di circa 900 miliardi di dollari. Parliamo quindi di un cartello dotato di una potenza di fuoco semplicemente devastante, che include 150 tra le più ricche multinazionali mondiali e che a sua volta ingloba più di 60 associazioni di inserzionisti nazionali (tra cui, ca va sans dire, l’italiana UPA).
Uno scandalo di dimensioni planetarie
GARM è una emanazione della WFA che si propone di “aiutare l’industria a gestire il pericolo di informazioni illegali o dannose sulle piattaforme mediatiche digitali”. E come si pensa di limitare queste informazioni dannose? Semplice: evitando di fare inserzioni pubblicitarie su piattaforme che diffondono informazioni “dannose”, per affamarle e possibilmente farle chiudere. Ma dannose per chi? Per i membri della WFA evidentemente.
Queste sono almeno le conclusioni a cui sono arrivati non dei presunti cospirazionisti antisistema, bensì i membri di una Commissione di Inchiesta del Congresso Americano che pochi giorni fa ha rilasciato i risultati di un’indagine bomba (una bomba silenziosissima sui media nostrani) a seguito della quale ha richiesto di interrogare i vertici di 40 multinazionali (tra cui Adidas, American Express, Bayer, British Petroleum, Chanel e General Motors solo per fare qualche nome) accusandoli nella sostanza di aver utilizzato il GARM alla stregua di una associazione per delinquere (collusive activity) allo scopo di boicottare commercialmente tutte le piattaforme di informazione che non sono schierate su posizioni politiche ritenute accettabili dallo stesso GARM.
Il profilo potenzialmente criminale di queste accuse si esplicita nelle implicazioni che questi comportamenti possono aver avuto nei termini della soppressione della libertà di espressione e di stampa, un tema ritenuto talmente importante dai padri fondatori da essere stato incardinato nel Primo Emendamento della Costituzione americana, a garanzia dell’esistenza stessa di una forma di democrazia degna di questo nome.
La commissione di inchiesta non usa mezzi termini: “il GARM ha deviato in modo considerevole dal suo intento originario, e ha usato il suo potere di mercato immenso per de-monetizzare voci e punti di vista con cui il gruppo dissente”. E sottolinea anche il profilo potenzialmente eversivo delle affermazioni del presidente di GARM Rob Rakowitz secondo cui una “interpretazione estrema della Costituzione Americana” rappresenta un problema per le inserzioni pubblicitarie, laddove in quella “interpretazione estrema” la Commissione ha letto una critica nemmeno troppo velata alla necessità di difendere libertà di stampa e allo stesso Primo Emendamento.
Tra le accuse dirette allo stesso Rakowitz la Commissione sottolinea il fatto che proprio Rakowitz avesse istruito le compagnie facenti parte del GARM ad affidarsi completamente a “fact-checkers” con posizioni chiaramente “di sinistra”, come il Global Disinformation Index, o NewsGuard.
E non a caso, ad essere boicottati dal GARM sono stati media e piattaforme come lo stesso NYP, FoxNews, Daily Wire o i podcast di Joe Rogan, tutte ascrivibili ad una ben precisa area politica definibile come “conservatrice”, “repubblicana”, “populista” o “libertaria” che dir si voglia.
La punta dell’iceberg
Sono proprio queste conclusioni dell’indagine del Congresso ad aver spinto Musk (che già in tempi non sospetti aveva reagito duramente contro il dichiarato intento degli inserzionisti di silenziare Twitter) a citare in giudizio i membri del GARM, e a stretto giro di posta la stessa cosa ha fatto Rumble (piattaforma canadese incentrata sul tema della libertà di espressione). Ed è soltanto l’inizio, perché i soggetti potenzialmente penalizzati dal cartello degli inserzionisti “liberal” sono ovviamente tanti, e i risarcimenti richiesti saranno facilmente nell’ordine delle centinaia di miliardi di dollari.
La notizia della causa giudiziaria avviata da Musk è quindi solo la punta di un iceberg (lo scandalo GARM, appunto) di cui i media si sono ben guardati dall’informare il pubblico. Comprensibilmente.
Un neo-socialismo corporativo e monopolista
Sono diversi anni che alcune rare menti brillanti e indipendenti come l’americano Rectenwald descrivono il consolidamento di un sistema che definiscono come “Capitalismo Woke” o come un socialismo corporativo e monopolista calato dall’alto.
Un sistema, cioè, in cui i porci di Orwell non prendono il potere a seguito del fallimento di un modello socialista costruito attorno alla figura del lavoratore, ma al contrario inventano un falso socialismo solo apparentemente incentrato sul “popolo”, ma in realtà costruito esclusivamente attorno alla protezione dei loro interessi, e volto al consolidamento di un monopolio di mega-corporations che socializza i costi, e privatizza i profitti. Su scala planetaria.
“Socialisti” all’opera: il clima e …i suoi fratelli
Un perfetto esempio di come funziona questo sistema è proprio offerto dalla narrativa mediatica sulla “crisi climatica”. Una narrativa gestita proprio dai media e volta a scaricare i costi sociali insostenibili della “transizione energetica” sul Signor Rossi, mentre le mega-corporations che investono nella transizione in questione pretendono di gestirne i profitti.
Ipotizziamo adesso che proprio quelle stesse corporations incentrate sulla “transizione”, agendo come una lobby planetaria di inserzionisti pubblicitari, elargiscano ricche inserzioni ai media che sostengono la narrativa della crisi climatica mentre de-piattaformano chiunque osi metterla in discussione. Un possibile risultato distopico di questo cortocircuito di interessi economici e informazione asservita potrebbe essere che tutte le pubblicità di automobili propongano curiosamente solo fighissimi modelli elettrici che il consumatore medio comunque non potrebbe permettersi. Non si tratterebbe più, infatti, di vendere macchine, ma piuttosto di diffondere la loro religione.
Gli esempi di questi cortocircuiti economico-mediatici sono potenzialmente innumerevoli: dalle crisi geopolitiche che si traducono in extra-spesa militare all’esaltazione di nuovi modelli familiari funzionali alla produzione di consumatori con potere di spesa superiore. Per non dire delle migrazioni, descritte con toni pietistici e cristianoidi ma che curiosamente vanno incontro all’esigenza di abbassare il costo del lavoro, a spese del lavoratore e a vantaggio della multinazionale di turno.
Il vero punto è che tutta la ridicola e disumana costruzione fatta di toilette gender, scelta dei pronomi fai-da-te, improbabili sincretismi religiosi, immigrazionismi scriteriati, ecoansie, hate-speech e chi più ne ha più ne metta che ci viene quotidianamente rovesciata addosso dai media, altro non è che l’architettura politica che le corporations intendono utilizzare per massimizzare i loro profitti, scaricare i costi sulla popolazione e impedire l’ingresso ad eventuali competitors. Alla luce dell’inchiesta del Congresso, il GARM pare essersi costituito semplicemente come cane da guardia del sistema che lo ha creato.
E la politica?
La questione in realtà ha ben poco di politico in sé. Il Daily Wire, Rumble o Twitter non vengono boicottati perché “di destra”, ma perché nemici del monopolista nel momento in cui pretendono di dare spazio a punti di vista che vanno contro i suoi interessi economici.
Il monopolista non ha un partito di riferimento: semplicemente non ne ha bisogno: è lui il partito unico del globalismo economico. Il monopolista offre semplicemente i suoi servizi (leggi: una stampa favorevole grazie al controllo dell’informazione esercitato attraverso le inserzioni pubblicitarie) all’area politica che promette di servire meglio la sua agenda economica. In cambio, quell’area politica indosserà i panni carnevaleschi (e invero imbarazzanti) del socialismo 2.0 elaborato dal monopolista stesso.
E l’Italietta?
L’Italia ovviamente non poteva restare fuori dai giochi giacché l’italianissima UPA si vanta di essere tra i fondatori della stessa WFA.
Forse non casualmente il tempo in cui si guardava il TG5 perché “di destra” o Rai3 perché “di sinistra” è lontano anni luce. Come il tempo in cui ci si guardava in cagnesco tra i lettori di Repubblica e quelli del Giornale. Nel frattempo Mediaset si è ribattezzata orwellianamente “Media for Europe” e già basterebbe questo a chiudere ogni discorso.
Sui grandi temi (politica estera, politica economica, guerra, Europa) le differenze tra Repubblica, il Corriere e il Giornale sono pari a zero. Anche i telegiornali sono tutti uguali, e servono tutti lo stesso minestrone globalista di un TG di Sky. A dirla tutta, anche i giornalisti sembrano mostrare, a reti unificate, lo stesso sguardo annoiato, inespressivo e probabilmente rassegnato dell’ex-professionista degradato a lettore di teleprompter. Curiosamente, è proprio lo stesso sguardo dei giornalisti del profetico Essi Vivono di John Carpenter.
PS: c’è bisogno di dirlo? Anche le inserzioni pubblicitarie sono le stesse, su tutti i canali e su tutti i giornali. Sicuramente un caso.
Che fare?
La soluzione ce la propone proprio il meraviglioso film di Carpenter: pretendere di combattere e vincere contro il 90% delle multinazionali che attraverso le inserzioni pubblicitarie plasmano l’informazione mondiale è ovviamente utopico. Tanto più che di John Nada in circolazione non è che se ne vedano tanti.
Ma anche solo fermarsi un attimo e pensare, di fronte ad uno qualsiasi di quei telegiornali o di quei giornali “mi stanno raccontando quello che Bayer, British Petroleum, General Motors o American Express vogliono che io sappia”, beh, è già un grande passo avanti. Già ci erano arrivati in tanti a pensarlo, ben prima che il Congresso indagasse sul GARM. Ma più quei tanti saranno, e meno potere avranno quei media.
Spegnere la TV e non abbeverarsi alla stampa mainstream è il più grande atto di ribellione che questo sistema ci lascia a disposizione. In attesa che col pretesto dell’hate speech e delle “fake news” anche le residuali fonti di contro-informazione, già ridotte alla fame dal GARM e dai suoi fratelli, vengano silenziate per sempre, magari col pretesto di essere “agenti stranieri”.
Ché se si vuole fare un davvero un dispetto al grande monopolista, quello è proprio insinuare in lui l’idea che i suoi investimenti (in questo caso, le sue inserzioni pubblicitarie in media che perdono ascolti e lettori) non siano profittevoli come si aspettava. Troverà altri modi per proteggere il suo monopolio. Per certo altri GARM staranno già scaldando i motori.