Gli incendi nel nord Australia (NT) negli ultimi 5000 anni

Gli incendi nel nord Australia (NT) negli ultimi 5000 anni

Luglio 28, 2021 Off Di miometeo

Nell’ambito degli eventi estremi, è stato appena pubblicato in rete un lavoro (Rehn et al., 2021) sull’evoluzione nel tardo Olocene degli incendi nella savana dell’Australia settentrionale, in cui si mostra come i granuli di carbone da incendio, di diversa dimensione, il cui flusso (densità superficiale annuale) viene misurato separatamente per classi di dimensione, hanno subito una continua diminuzione media negli ultimi 4-5 mila anni.
Il flusso indica che gli incendi recenti (per tutte le dimensioni dei granuli) quasi scompaiono rispetto agli incendi dei millenni passati tra cui certamente quelli accesi dagli aborigeni che li usavano per la gestione del territorio.
Anche se gli autori non ne parlano esplicitamente, il lavoro si inserisce nel filone, ormai vasto, degli eventi estremi che smettono di esserlo quando sono analizzati correttamente (cicloni e tornado) oppure sono normali manifestazioni naturali, con i loro alti e bassi e anche con eventuali inserimenti antropici per i quali non è necessario proclamare crociate.

Sembrerebbe facile convincere il prossimo che gli eventi estremi non esistono in modo sistematico, legato alla produzione umana di CO2, ma non è così: oltre all’inossidabile pervicacia dei “profeti” (v. ad esempio http://www.climatemonitor.it/?p=54569), proprio oggi (10 marzo 2021) ho letto due articoli, uno nell’ambito della Geografia canadese e l’altro nelle Relazioni Internazionali russe nei quali, dato per scontato il cambiamento climatico, specie nelle regioni artiche, si studiano e si propongono scenari e modelli relativi alla sicurezza in quelle regioni e si cita un’imponente bibliografia che testimonia un fermento mondiale connesso al cambiamento climatico. La lettura mi ha trasmesso un senso di “soldato giapponese nelle isole del Pacifico” che non avevo mai provato prima. Però ha anche rafforzato l’idea che voglio proprio essere “quel soldato” e che le mie tre ore per notte di sonno voglio almeno dormirle profondamente, con la coscienza tranquilla.

Riprendo il discorso interrotto: il lavoro di Rehn et al. è a pagamento (io ho avuto il testo dagli autori) per cui riporterò alcuni stralci dell’introduzione e del testo senza particolare enfasi, come fosse farina del mio sacco. In realtà non lo è, ed è bene sottolinearlo.

In Australia, l’uomo è diventato un soggetto del fuoco (un “incendiario”) circa 60 mila anni fa e si è aggiunto agli incendi naturali che a lungo hanno plasmato gli ecosistemi; il suo ruolo non è chiaro ed è ancora argomento di discussione ma, alcuni ambienti, incontrati dagli europei nel 18.mo secolo, apparivano gestiti con cura e attenzione. L’estensione e i tempi scala di questa gestione non sono però ben conosciuti. In genere si crede che a livello continentale il clima sia stato una forza-guida del bruciamento di biomasse più dell’uomo, tranne negli ultimi 200 anni.
Le savane dell’Australia settentrionale coprono circa un quarto dell’area e ogni anno circa il 50% di esse brucia. Si capisce quindi che la ricerca su questi ecosistemi è importante per capire le relazioni tra fuoco, clima, uomo, vegetazione.

Fig.1: Identificazione della zona di studio. L’immagine c è la foto satellitare del piccolo lago da cui sono stati estratti i sedimenti analizzati.

Il tardo Olocene (da 4200 anni fa ad oggi) è un periodo climatico confrontabile con quello attuale e, dal medio al tardo Olocene si è sviluppato El Nino, si è stabilizzato il livello del mare (cresciuto nel medio Olocene) e il monsone estivo indonesiano-australiano si è indebolito. Molti siti settentrionali australiani mostrano disturbi nella crescita della vegetazione attribuiti ad ENSO e all’uomo, in concomitanza con l’aumento della popolazione.
Lo studio degli incendi e la produzione di dati di prossimità per il fuoco, relativamente abbondanti per gli ambienti temperati del sud-est, sono quasi assenti per il nord. Dagli anni 40 del secolo scorso sono stati introdotti metodi per analizzare depositi di carbone e per distinguere gli incendi di differenti biomasse; in particolare Rehn e collaboratori usano il flusso di particelle di carbone (particelle cm2 anno-1) e la dimensione delle particelle in micron (μm) per misurare l’intensità del fuoco (una combinazione di temperatura e durata) e il tipo di materiali bruciati (ad esempio, quando parlano di “elongated” si riferiscono ai fili d’erba).

In questo lavoro sono analizzate particelle di tre classi di dimensione, osservate nei sedimenti di un piccolo lago (figura 1).

  1. tra 63 e 125 μm
  2. tra 125 e 250 μm
  3. maggiori di 250 μm

Le particelle maggiori di 125 μm sono interpretate come locali; quelle minori (microscopiche) come regionali, provenienti da un ambiente più ampio ma ignoto non essendo ben conosciuta la dinamica del trasporto.
Gli autori forniscono un link ai dati usati ma, purtroppo, non funziona, almeno nella mia copia. Ho quindi digitalizzato (a passo 1 pixel=15.2 anni) una parte delle loro serie (3 dalla loro figura 5), in particolare il flusso per le tre tipologie di particelle di carbone, e ho trascurato le serie di carbone pirogenico di figura 6. Il risultato della digitalizzazione è mostrato nelle tre figure successive, insieme ai rispettivi spettri.

Fig.2: Flusso digitalizzato dalla figura 5 di Rehn et al., 2021. La linea interpolante rossa è il fit parabolico dei dati. Quelle descritte sono (si assume) le particelle provenienti da aree limitrofe. in basso lo spettro in cui si notano i massimi corrispondenti ai cicli solari di Hallstat (2200 anni); di Eddy (1000 anni), di un ciclo senza nome a 500 anni e del ciclo di de Vriess/Suess (208 anni).
Fig.3: Flusso digitalizzato per una prima tipologia di particelle locali. Sembra essere stata presente nella zona un’intensa attività di incendi attorno a 4200 anni fa e poi attività relativamente bassa fino ad oggi. Nello spettro è scomparso il massimo attorno a 2000 anni ma restano quelli a 700, 400 e 200 anni.
Fig.4: Flusso digitalizzato delle particelle più grandi. Appare un’inensa attività tra 4500 e 3000 anni fa e poi alcuni picchi significativi e un leggero aumento a partire da circa 400 anni fa (forse poco prima dell’arrivo degli europei). Lo spettro conferma i picchi a 700, 400, 200 anni, forse ciclicità tipiche degli incendi.

Nella fase più antica, tra il 4600 e il 2800 BCE, si osservano, secondo gli autori, incendi dovuti a piante C3/C4 mescolati, ma non simultanei, a quelli della prateria. In questa fase gli incendi sono ad alta intensità e di periodo circa 450 anni, come sembrano testimoniare i massimi spettrali (figura 2) a 400 e 550 anni per le particelle tra 63 e 125 micron.
La fase intermedia, tra il 2800 e il 900 BCE, mostra una serie di picchi del flusso, meno frequenti per le particelle >250 μm e tutti più bassi rispetto ai picchi della fase precedente. Il periodo di ritorno di questi massimi secondari è di circa 200 anni, come evidenziato dai massimi spettrali a 170-220 anni in tutte le serie.
Nella fase moderna, dal 900 BCE ad oggi, si osservano piccole fluttuazioni di flusso, legate alle formazione di foreste di mangrovie e al trasporto di sabbia, con conseguente maggiore mobilità dell’uomo che si adatta alle condizioni ambientali.

Tra la fine del 19.mo e l’inizio del 20.mo secolo, nella zona si stabilisce una riserva per gli aborigeni e nuove esigenze di pastorizia hanno generato nuove necessità di gestione del territorio, con maggiore intensità di incendi.
Dal complesso degli spettri osserviamo massimi comuni alle tre tipologie di grani di carbone: 700, 400, 200 anni a cui si aggiungono, per la serie intermedia, 1000 anni e per la serie di dimensione minore (63-125 μm) anche 2300 e 500 anni. Questi periodi possono essere associati ai cicli solari, come ho elencato nella didascalia di figura 2.
Gli spettri wavelet delle tre serie (disponibili nel sito di supporto) confermano gli spettri MEM, tranne il massimo di 2300 anni che negli spettri wavelet è fuori dall’intervallo selezionato, ma mostrano che le oscillazioni di cui parliamo sono state forti all’incirca nella metà più antica del periodo, cioè dal medio all’inizio tardo Olocene; grosso modo, gli spettri del periodo più recente di 2500 Ka mostrano l’assenza di massimi o la loro presenza con potenza molto bassa. Non ho elementi per poter fare affermazioni nette, ma ho la sensazione che la presenza o meno di forti massimi spettrali sia legata allo sviluppo (o la nascita) di El Nino.

In conclusione, anche in questo caso di area ristretta e soggetta fortemente all’influenza di El Nino, non possiamo parlare di eventi estremi in crescita ma, al contrario, di eventi in forte diminuzione (con o senza CO2 antropica). Si può anche sottolineare come l’attività umana abbia favorito una buona gestione del territorio, almeno fino all’arrivo degli europei.

Bibliografia

  • Rehn et al., 2021 Emma Rehn, Cassandra Rowe, Sean Ulm, Craig Woodward and Michael Bird: A late-Holocene multiproxy fire record from a tropical savanna, eastern Arnhem Land, Northern Territory, AustraliaThe Holocene 00(0), xxx-xxx, 2021. https://doi.org/10.1177/0959683620988030
    Tutti i dati e i grafici sono disponibili nel sito di supporto

Facebooktwitterlinkedinmail