Il popolo ha scelto

Il popolo ha scelto

Giugno 23, 2021 Off Di miometeo

La notizia che non è arrivata sui giornaloni la scorsa settimana (e di cui quindi parliamo su questo Blog) è che in Svizzera c’è stata una consultazione referendaria. Che se ne sia parlato poco è assolutamente normale, e per due motivi.

Il primo è che per i giornaloni lo strumento referendario si qualifica già di per sè come oppressivo, prevaricatore, razzista e politicamente scorretto, in quanto espressione del parere di una maggioranza di elettori, e non (come invece preferirebbero) di una minoranza di “eletti”.

Il secondo, è che il referendum è andato male. Contrariamente ai soliti sondaggi. Al solito sbagliati.

CO2 Law

CO2 Law (legge per la CO2) era il titolo accattivante di uno dei quesiti referendari, che si proponeva di ridurre le emissioni di anidride carbonica andando a colpire l’utilizzo di autoveicoli, il traffico aereo, le emissioni industriali e tanto altro. In sostanza, con la solita foglia di fico del green, si chiedeva agli svizzeri di accettare un nuovo diluvio di tasse, e di rinunciare alla loro libertà di movimento.

I sondaggi della vigilia davano il sì al referendum al 60%: una scommessa sicura. Talmente sicura che praticamente tutti i partiti politici (con l’unica eccezione dei “sovranisti” di SVP) si erano uniti in un verdissimo abbraccio a sostegno del “SÌ” per mostrarsi agli elettori dalla parte giusta della storia e incastrare politicamente i rivali nella scomoda posizione  di inquinatori e “servi delle oil companies”.

E l’imprevedibile accadde

Poi si è votato, e gli svizzeri hanno deciso di tenersi stretta la CO2, e di lasciare che i loro abeti continuassero a beneficiarne regalando in cambio ossigeno, zuccheri e amminoacidi. E ombra l’estate, e un panorama da cartolina l’inverno, giacché in barba ai modelli climatici la neve sulle Alpi cade ancora abbondante per la gioia di operatori turistici, sciatori e bambini.

Hanno anche deciso di pagare meno tasse, e di continuare a guidare la macchina e a prendere gli aerei, magari alla volta del caldo e del mare. Magari proprio sulle spiagge dei cugini italiani.

Subito si è levato il grido di dolore degli ambientalisti, dei politici e dei media al loro traino che hanno inveito, con solita la ragionata pacatezza che li contraddistingue, contro le “lobby petrolifere” che condizionano i mentecatti che ancora si ostinano a votare nei referendum.

Vero è che la Svizzera è sede di tante multinazionali: colossi dell’alimentare, del farmaceutico, industria di precisione, ma non è certo la patria dell’oil & gas. E infatti basterebbe un piccolo sforzo per capire che la verità sta altrove. Per esempio basterebbe guardare alla cartina elettorale (fonte: swissinfo.ch).

Ricchi e… meno ricchi

Nonostante la vittoria dei NO sia stata di misura, con il 51.6% di voti, la stragrande maggioranza dei cantoni svizzeri ha votato per il NO. Fortuna del comitato del SÌ che il quesito sulla CO2 non richiedesse la maggioranza cantonale, altrimenti sarebbe stata una debacle ancora più imbarazzante.

A votare SÌ sono stati i cantoni più ricchi, più cosmopoliti e più multietnici: Vaud, Neuchatel, Basilea, Zurigo: tanti giovani, tanti studenti, tanti accademici, tanti funzionari, ma anche tanti milionari, visto che la ricchezza svizzera è in grandissima parte concentrata proprio in queste aree. Per non dire di Ginevra, che da sola ospita le sedi di qualcosa come 36 organizzazioni internazionali e ben 700 ONG e dove prevedibilmente il SÌ ha prevalso con largo margine.

La cosa non deve sorprendere: si tratta della solita faglia politica che attraversa tutti i paesi occidentali del mondo, e che divide la popolazione tra ricchi e poveri, tra città e province, tra giovani e meno giovani, tra funzionari pubblici e liberi professionisti, tra colletti bianchi e colletti blu.

E siccome il tema della “crisi climatica” è pilastro dell’armamentario ideologico e politico di tutto quello che si trova dalla parte “giusta” della faglia, la distribuzione geografica del voto non deve sorprendere nessuno.

Ma le montagne?

La cosa semmai più interessante, è che in un referendum presentato come “salva-ghiacciai”, a votare per il NO siano stati proprio gli abitanti delle regioni montuose: dalle vallate alpine più isolate ai santuari più snob dello sci, ivi inclusi luoghi di villeggiatura esclusivi e car-free come Saas Fee, Wengen, Zermatt o Murren.

Fonte: Ufficio federale di statistica svizzero

Rivelatrice è la carta allegata che mostra come la distribuzione dei NO sia perfettamente sovrapponibile all’altimetria: più ci si addentra nelle regioni montuose, più si sale di altitudine, più aumentano i NO (tonalità più scure del viola).

E se proprio di ghiacciai si vuole parlare,è proprio alle pendici del ghiacciaio dello Jungfrau (il più esteso delle Alpi), che i NO al referendum hanno raggiunto percentuali bulgare, vicine all’80% in santuari dell’alpinismo e dello sci come Lauterbrunnen o Adelboden.

Forse ancor più significativo il fatto che il risultato più umiliante per gli “ambientalisti” (sommersi da una valanga del 92% di NO) si sia avuto nel distretto di Zwischbergen, municipio alpino incastonato tra vette di 4000 metri, già oggetto dei pellegrinaggi del poeta inglese William Wordsworth, e rimasto ai margini dei circuiti più ricchi e blasonati del turismo invernale svizzero.

Heidi vs. Blackrock

Smacco tra gli smacchi, persino il cantone dei Grigioni ha votato NO al referendum: parliamo del cantone che ospita Davos: la capitale virtuale del globalismo mondiale che irradia i suoi meravigliosi progetti di “Great Reset” e “Transizione Energetica” in ogni angolo del mondo. E dove i SÌ hanno prevalso.

Grigioni che ospitano, però, anche il paesino di Heidi: Maienfeld, dove invece hanno prevalso i NO. Ecco, la sintesi di questo referendum potrebbe essere che i discendenti di Heidi in cabina elettorale hanno sconfitto i trilionari e i profeti del Great Reset: il “Vecchio dell’Alpe” ha schiaffeggiato Larry Fink e Klaus Schwab.

E al di là di certe immagini più o meno evocative, resta il fatto incontestabile che chi vive la montagna nella sua quotidianità ha votato per tenersi la CO2, e per non rinunciare al suo stile di vita attuale.

Forse perché la gente di montagna tocca ogni giorno con mano il fatto che il disastro climatico previsto dai modelli e strombazzato dai giornaloni da decenni, semplicemente non si è mai avverato: nevica come prima (talvolta di più), si scia come e più di prima, il turismo invernale regala profitti sempre più ricchi (la Svizzera ha mantenuto aperti gli impianti sciistici anche in piena epidemia di Covid) e i ghiacciai non sono mai stati immutabili come i giornaloni vorrebbero farci credere.

Gli altri quesiti referendari

Forse è anche il caso di ricordare che nella stessa tornata elettorale gli svizzeri hanno affossato altri due quesiti “ambientalisti” che si proponevano, tra l’altro, di:

  • Togliere gli incentivi alle aziende agricole che usano pesticidi “artificiali”.
  • Punire le aziende agricole che allevano più capi di bestiame di quanto l’auto-produzione di foraggio consenta.

In altre parole, si chiedeva agli svizzeri di ridurre la propria produzione agricola e i propri allevamenti, di perdere conseguentemente una quota della ricchezza generata dalle attività in questione, e infine di importare più beni agricoli e più carne dall’estero, verosimilmente di qualità peggiore. Per il “bene dell’ambiente”, ca va sans dire.

Anche in questo caso, gli svizzeri hanno risposto picche, stavolta con percentuali ancora più alte.

Una questione molto politica e poco scientifica

Nonostante il solito incontenibile impulso dei media a liquidare gli elettori che “votano male” come degli egoisti e degli imbecilli, resta il fatto che se nella ZTL di Zurigo i Sì al referendum “salva-ghiacciai” sono all’80%, e alle pendici degli stessi ghiacciai racimolano il 20%, allora è evidente che la questione “climatica”, ben lungi dall’essere reale e percepibile, è invece squisitamente politica.

E giacché  di politica si parla, è ancora più evidente che i “grandi temi ambientali” fanno presa su settori ben precisi dell’elettorato occidentale, e in particolare su due pilastri:

  1. Quelli che si sentono economicamente al sicuro.

Vuoi perché sono straricchi e ritengono di poter addirittura speculare sui provvedimenti “verdi” ammazza-economia (gli Edoavdo e i Vodolfo su cui abbiamo ironizzato). Vuoi perché sono stipendiati più o meno direttamente dallo Stato, e quindi ritengono di essere a riparo dai danni economici causati dai deliri para-sovietici in salsa “green” (e qui troviamo tutti i dipendenti della “Megaditta”: dal Conte Cobram in giù fino a Fantozzi).

2.  I “ggggiovani”

Ovvero coloro per questioni puramente anagrafiche nulla o quasi conoscono del mondo. E ancor meno di quel mondo del lavoro che si appresta a trasformarli in carne da cannone sotto-salariata e/o del tutto nullafacente, proprio grazie al pretesto ambientalista.

Soluzioni?

Visto che nei paesi occidentali in cabina elettorale continua a manifestarsi una maggioranza di lavoratori che si preoccupano delle implicazioni economiche dell’ambientalismo demenziale e suicida oggi dilagante, esistono solo due soluzioni alla portata dei fautori della “Transizione”, per evitare che i discendenti di Heidi continuino a mettersi di traverso:

  • Incrementare percentualmente la fetta di elettori che non hanno attività economiche personali da difendere. Per esempio, aumentando a dismisura l’assistenzialismo di Stato, e nel contempo scoraggiando, criminalizzando e punendo in ogni modo l’iniziativa economica privata. Magari condendo il tutto con l’estensione del diritto di voto anche ai 12enni.
  • Oppure, liberarsi semplicemente dell’inutile fardello della democrazia, che non si rivela funzionale alla trasformazione auspicata dalle menti più raffinate del Pianeta. E passare a forme di governo che rendano la “Transizione” più agevole. Per esempio una bella dittatura, ma rigorosamente “green”, come apertamente auspicato da certi accademici ambientalisti che praticano poco il politichese.

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PS: il mio primo contributo a CM è stato proprio in occasione di una tornata referendaria: quella sulle “trivelle”, affrontata in un trittico che prese il nome di Stupidario Referendario. Sono passati più di 5 anni da allora. E di referendum, da allora, in Italia non se ne sono tenuti più.

 

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