Il summit della disillusione
Settembre 26, 2019Il 23 settembre scorso è andato in scena il summit climatico organizzato dall’ONU, per cercare di concretizzare i generici impegni delle Conferenze delle Parti successive a quella di Parigi del 2015. Chi segue queste vicende, certamente ricorderà che a Parigi, in occasione della COP21, tutti i Paesi del globo terraqueo si “impegnarono” a prendere tutte le iniziative necessarie a mantenere l’innalzamento della temperatura terrestre media globale “ben al di sotto dei 2°C” e “possibilmente” al di sotto di 1,5°C.
Nelle tre COP successive i famosi impegni di Parigi (meglio noti come Accordo di Parigi) non si sono trasformati in azioni concrete ed impegni vincolanti per i firmatari dell’Accordo. Credo che tutti ricorderanno che l’Accordo di Parigi NON è vincolante per i sottoscrittori. Non sono previste sanzioni per coloro che vengono meno agli impegni presi, per cui tutto è demandato alla buona volontà delle Parti. Per noi europei le cose non stanno esattamente così, perché l’Unione Europea emana sempre più spesso Direttive in cui gli impegni presi in ambito internazionale assumono valore prescrittivo e vincolante, ma, è notorio, che noi siamo i primi della classe in quanto ad autolesionismo.
Sono anni che seguo con attenzione gli incontri internazionali che pongono al centro dell’attenzione, le vicende legate al cambiamento climatico in atto e sono anni che aspetto che succeda qualcosa di concreto, in un senso o nell’altro. Vorrei che si pronunciasse in modo chiaro e definitivo la sentenza: dobbiamo ridurre le emissioni e versare i famigerati 100 miliardi di dollari ai Paesi in via di sviluppo o mettere fine a questi inutili rituali che non hanno alcuna ricaduta concreta sulle vicende climatiche. Le emissioni di gas serra continuano infatti ad aumentare nonostante gli impegni presi dai Capi di Stato e di Governo mondiali.
In questo quadro non mi aspettavo nulla di particolarmente eclatante da questa ennesima passerella di Capi di Stato, ma, come si sa, la speranza è l’ultima a morire e, quindi, mi sono messo d’impegno a cercare di capire se qualcosa bollisse in pentola. Anche perché nel frattempo c’è stata la mobilitazione di milioni di giovani al seguito dell’eroina climatica Greta Thunberg. Vuoi vedere, mi sono chiesto, che questa volta qualcosa si vedrà?
Alla fine del summit del 23 settembre dobbiamo registrare però l’ennesimo fallimento. Le posizioni non si sono mosse neanche di un millimetro rispetto a quanto già si sapeva. I discorsi dei Capi di Stato e di Governo convenuti a New York, non sono andati al di là di generiche dichiarazioni di buona volontà. Eppure il Segretario Generale dell’ONU aveva chiesto ai partecipanti di presentarsi con dei piani chiari e concreti e non con “generiche” dichiarazioni di buona volontà prive di effetti pratici.
Chi ci è rimasta peggio di tutti è stata la povera Greta Thunberg che, tra le lacrime, ha pronunciato un accorato discorso, in cui ha preso a pesci in faccia i partecipanti al summit, accusandoli di averle rubato l’infanzia ed i sogni. Ha esordito ammettendo che si trovava a vivere una vicenda del tutto sbagliata: doveva essere a scuola dall’altra parte dell’oceano e invece si trovava ad assistere ad un pietoso spettacolo, in cui i responsabili del disastro climatico in atto, invece di presentare piani d’azione concreti, si limitavano a sterili ed inutili esibizioni oratorie. Per la prima volta ho visto vacillare la vestale della lotta ai cambiamenti climatici ed alle disuguaglianze sociali. Per la prima volta ho avuto l’impressione che ella si stia rendendo conto dell’inutilità della sua lotta. E per la prima volta mi è sembrato di individuare i danni prodotti da anni di sovraesposizione mediatica. Mi auguro, per il suo bene, di sbagliarmi e che la mia analisi sia frutto di una clamorosa cantonata. Spero che quello di Greta, sia il discorso di una grande attrice e che abbia recitato un copione.
A parte le lacrime e la rabbia di Greta Thunberg, nulla di rilevante è emerso dal summit organizzato dall’ONU. Dobbiamo registrare addirittura qualche passo indietro. Nazioni come Australia, Corea del Nord, Arabia Saudita, Giappone e Brasile non hanno presentato alcun piano d’azione. Gli Stati Uniti non hanno proprio preso parte alla discussione: il presidente Trump ha assistito dalla platea agli interventi della cancelliera Merkel e del primo ministro indiano Modi e poi ha lasciato l’Assemblea. Ha applaudito l’intervento di Modi che, però, si è limitato a dichiarare un aumento della produzione di energia da fonti rinnovabili entro il 2022, senza accennare minimamente ad una riduzione dell’uso del carbone. Il presidente turco Erdogan ha detto a chiare lettere che il suo Paese non rinuncerà all’uso del carbone, in forte crescita, a meno che non venga riconosciuto alla Turchia lo status di Paese in via di sviluppo, con il conseguente supporto finanziario da parte dei Paesi sviluppati.
La Cina si è limitata a ribadire l’intenzione di rispettare gli impegni di Parigi, ma non ha manifestato alcuna intenzione di assumerne di più ambiziosi. A ciò non è estranea la guerra commerciale in corso con gli USA che, secondo il rappresentante cinese, si sono sottratti anche agli impegni di Parigi.
L’UE non ha potuto fare niente di più di quanto già fatto a Parigi nel 2015. Polonia, Estonia, Ungheria e Repubblica Ceca non sono disposte a fare ulteriori concessioni in materia di riduzione delle emissioni.
In questo quadro desolante una sessantina di Paesi hanno dichiarato che intendono assumere entro il 2020 impegni più ambiziosi di quelli di Parigi (senza spiegare, però, come faranno) e circa una settantina intendono raggiungere entro il 2050 l’obiettivo delle emissioni zero. Tutti insieme rappresentano, però, meno del 20% delle emissioni globali di CO2. Campa cavallo!
Registrato questo ennesimo fallimento globale, ci predisponiamo alla prossima COP. Sarà la venticinquesima e, viste le premesse, credo che assisteremo al 25° nulla di fatto.