Inverno 2023, non solo Outlook

Gennaio 19, 2023 Off Di miometeo

Visto il periodo ormai avanzato della stagione, abbastanza in ritardo per il consueto outlook invernale, quanto segue si colloca a metà fra la solita proiezione stagionale e un lavoro di ricerca che sto portando avanti nell’ottica di un miglioramento della prognosi dell’attività d’onda su base IZE (Indice di Zonalità Emisferico), anche con riferimento ai possibili effetti delle onde atmosferiche. La base dati, è bene sottolinearlo, rimane quella del mese di ottobre.

Tuttavia, in una parte del lavoro, cercheremo di individuare la possibile linea di tendenza per la seconda metà circa di questa stagione invernale. In sede di prognosi, proprio per dare spazio al nuovo lavoro di ricerca, utilizzerò in massima parte il prodotto sperimentale di cui sopra. Per comprendere le ragioni del focus sullo studio dell’attività d’onda vorrei nuovamente sottolineare, perché già scritto in  articoli precedenti, che il vortice polare è sensibile alle variazioni di calore che modificano il numero e l’ampiezza delle onde, il cui monitoraggio è quindi importante. Dove hanno origine queste variazioni di calore? Come possiamo individuarle? E, soprattutto, quali macro effetti producono sul vortice polare? Queste le domande principali a cui daremo una risposta e solo dopo concluderemo l’articolo con la linea di tendenza invernale che sarà in realtà la sintesi di ciò che avremo ottenuto dalla risposta ai nostri quesiti.

Brevemente, dalla descrizione teorica della circolazione generale dell’atmosfera sappiamo, riassumendo in maniera molto succinta, che grazie alla differenza di temperatura polo-equatore l’aria che si riscalda sulle zone equatoriali sale di quota e si dirige verso le zone polari. La rotazione terrestre e la diversa composizione superficiale non permettono all’aria di raggiungere l’area polare, il cui cammino si interrompe molto prima dando inizio alla formazione delle note celle di Hadley, Ferrel e polare.

La cella di Hadley è sostanzialmente una struttura termica e per quanto di nostro interesse, tra le altre cose, è anche all’origine dei venti alisei e dell’ITCZ (zona di convergenza intertropicale).

Anche la descrizione della circolazione generale a tre celle è teorica poiché deve fare i conti con la diversa distribuzione delle terre emerse che si scaldano e si raffreddano in maniera diversa, senza trascurare le aree oceaniche. Da questo si intuisce che è l’emisfero nord ad essere più sensibile alle alterazione  di posizione e intensità della circolazione a tre celle. Tecnicamente la vera cella è quella di Hadley perché termicamente attiva, le altre due, Ferrel e polare, sono piuttosto deboli e la loro esistenza non ha origini termiche come la cella di Hadley ma si fonda sul rimescolamento orizzontale che trasporta calore verso nord attraverso le ondulazioni delle correnti occidentali indotte dall’instabilità baroclina (eddies heat flux) e dai flussi di calore vorticosi. Dunque ecco spiegate, molto sinteticamente, le origini e il trasporto del calore che incidono nel modellare le caratteristiche o se vogliamo  l’identikit del vortice polare. Individuare la posizione delle celle non è cosa immediata ma alcuni traccianti rendono il compito un pochino più agevole. La corrente a getto subtropicale segna il confine più settentrionale (meridionale nell’emisfero australe) della cella di Hadley e corrisponde alla massima subsidenza delle correnti responsabili della formazione degli anticicloni tropicali. Più a sud (nord nell’emisfero australe) la zona ITCZ individua l’area intertropicale dove si sviluppano intensi moti verticali con la formazione di numerose e imponenti celle temporalesche.

La Madden Julian Oscillation (brevemente MJO) nel periodo ottobre-aprile svolge un ruolo significativo nella individuazione della zona di convergenza equatoriale che nell’area indo-pacifica interagisce e si sviluppa con le caratteristiche fisiche dei due oceani fornendo calore e umidità. La diversa intensità della cella di Hadley, stagionale o multidecadale, è dunque la responsabile dello spostamento latitudinale della fascia degli anticicloni semipermanenti tropicali (di nostro interesse mediterraneo sono l’anticiclone delle Azzorre e l’anticiclone nord africano) muovendo a loro volta la posizione latitudinale del fronte polare e con esso l’alterazione delle ondulazioni delle correnti occidentali che determinano la modifica del trasporto di calore attraverso i flussi di calore vorticosi. Quindi, in risposta alla seconda domanda le variabili principali (non uniche) da seguire con attenzione sono la MJO e la variazione dei flussi di calore da onde stazionarie e da transiente tra le latitudini 45N e 75N che vengono rispettivamente indicati con v*T* e v’T’.

In questa sede non mi addentrerò nell’individuazione delle origini e delle dinamiche alla base della modifica delle cella di Hadley ma mi limiterò a mostrarne gli effetti utili alla prognosi per questa seconda parte dell’inverno.

Ora, per dare un senso grafico a quanto fin qui espresso, vediamo la media posizione delle onde dal 1950 al 2021 nei periodi ottobre-aprile secondo il tracciante del vento zonale alla quota isobarica di 250hPa, così come visibile in figura 1.

Ora, assumendo l’anno dello shift climatico al 1976 cerchiamo di vedere le differenze di flusso zonale tra i periodi (1950→1976) – (1977→2021). In figura 2 la differenza dei due periodi.

Si nota molto chiaramente, dai colori caldi, che la circolazione zonale del periodo 1950→1976 rispetto al periodo 1977→2021 presentava una velocità ridotta sull’atlantico settentrionale e più intensa sull’atlantico centrale, chiaro sintomo di un abbassamento della storm track che sovente entrava nel cuore del Mediterraneo. Le lettere A e B non rappresentano la posizione delle alte e delle basse pressioni nel periodo 1950→1976 ma la tendenza a sviluppare tali strutture rispetto al periodo successivo che vede per le stesse zone segni opposti.

In questa sede non approfondiremo i motivi ma possiamo segnalare che in base alla distribuzione della circolazione nella zona pacifica equatoriale gli alisei hanno avuto un rinforzo determinando un numero maggiore di fasi ENSO neutro o negativo, fattore che aumenta le probabilità di posizione delle celle convettive equatoriali nelle zone madden 7, 8 e, seppur in maniera inferiore, anche nella 1. Queste zone, anche se in senso relativo possono acquisire ampiezze consistenti, in senso assoluto rappresentano aree decisamente meno attive rispetto le zone 3, 4, 5 e 6. Dunque, sintetizzando, senza considerare le eccezioni alla regola, un fronte polare basso in atlantico è caratterizzato da:

  • strutture ENSO neutro negative,
  • rallentamento del getto pacifico uscente dal continente asiatico, che favorisce una posizione della prima onda verso il comparto aleutinico,
  • la discesa di correnti settentrionali più probabili sul comparto centro-occidentale nord americano con il getto uscente da questo continente prevalentemente più basso di latitudine.

Sempre dalla figura 2 si nota che la zona equatoriale vede una prevalenza di divergenza delle correnti a 250hPa laddove è indicata la lettera A, cosa che si traduce in zone di convergenza alle quote sottostanti con relativi intensi moti verticali corrispondenti proprio alle zone madden 7, 8 e 1. Una attività convettiva equatoriale abbassa la tropopausa e di conseguenza il gradiente meridionale tra le alte e le basse latitudini rallentando la circolazione zonale alle alte latitudini con una intensificazione della cella polare e un maggiore deposito di momento anticiclonico.

Ora diamo uno sguardo alla MJO per capire dove l’attività convettiva è stata maggiormente attiva attraverso la figura 2a.

Dal grafico della MJO è ben chiaro che l’attività convettiva equatoriale negli ultimi 90 giorni è stata attiva nelle zone 5,6,7 e 8. Questo significa che la circolazione atmosferica generale è parzialmente compatibile con la forzante ENSO negativa del pacifico equatoriale la qual cosa sta a significare che sono comunque scongiurati periodi lunghissimi anticiclonici persistenti sul Mediterraneo centrale.

Lo studio inerente l’IZE (Indice di Zonalità Emisferico) ha prodotto l’ormai noto indice di attività d’onda per la stagione invernale che è stato pubblicato negli outlook stagionali degli anni scorsi. Dalla figura 3, output di ottobre scorso del modello, si nota come sia presente una buona attività d’onda in dicembre, poi un sostanziale blocco tra la fine delle stesso mese e la prima decade di gennaio 2023 e una ripresa tra la metà di gennaio e la terza decade dello stesso mese. Per ovvie ragioni, dicembre e metà gennaio sono ormai storia, con un’attività d’onda prevista che ha sostanzialmente ben pronosticato quanto poi è realmente avvenuto.

Prima di entrare nella prognosi del prossimo mese e mezzo vorrei far notare alcuni aspetti. Dall’Indice di attività d’onda non è possibile ottenere informazioni riguardo gli effetti e, soprattutto, le onde interessate.

In queste settimane, è in corso d’opera un aggiornamento del modello che ha come obiettivo quello di fornire maggiori informazioni sulla generica evoluzione dell’attività d’onda introducendo sia l’indice di effetto della medesima che la separazione dei segnali delle tre onde principali. Il modello, come detto, è tutt’ora in fase di studio ma, in anteprima su Climatemonitor pubblico due grafici, 3a e 3b, che fotografano lo stato dell’arte del lavoro fin qui compiuto. Tutto è ancora in fase sperimentale quindi non è da considerarsi quale prodotto operativo e utile in sede di prognosi stagionale ma comunque è già in una fase in grado di fornire alcune informazioni. La 3a fornisce indicazioni ancora sommarie ma più significative rispetto alla generica attività d’onda di cui al grafico 3. Cerca di individuare meglio la variabilità di incisività delle onde in genere quindi la capacità di produrre conseguenze alla medie latitudini. Anche in questo caso non è però possibile estrarre indicazioni sulla zona geografica dove si concentrano quegli effetti. Solo con il senno di poi si possono trarre delle conclusioni e nel caso specifico notiamo che la prima parte di dicembre indicata dal grafico è stata produttiva sul comparto europeo ma quella dopo il 20 di dicembre può essere ricondotta all’evento artico (forse storico per alcune località) avuto negli Stati Uniti centro-orientali. Ricordo che le date di riferimento sono indicative poiché, come spiegato più volte, il modello porta con se un possibile ed inevitabile errore temporale, oltre che di prognosi, di circa una settimana.

Più interessante è lo sviluppo di quanto espresso nel grafico 3b, che ribadisco essere al momento solo il frutto di un intenso lavoro ancora in fase sperimentale. In questa sede non spiegherò nel dettaglio le curve nel grafico piuttosto segnalo che dei test di skill, ancora parziali e riferiti al periodo 1950-oggi, sta dando buoni risultati. Questo lavoro scompone il segnale della generica attività d’onda dell’IZE di figura 3 nei vari segnali delle 3 onde principali. Segnalo solo che la prima onda è considerata nelle sue due posizioni o componenti, una sul Pacifico settentrionale a ridosso delle isole Aleutine e l’altra nella sua posizione traslata (denominata appunto onda 1T) a ridosso del continente nord americano. Dal grafico si vede bene la buona ripresa della seconda onda in questi giorni, cui si associa la discesa di aria artica marittima nel Mediterraneo centrale. Nel grafico si nota un ulteriore elemento di prognosi che riguarda indirettamente l’attività delle onde troposferiche con la loro capacità di propagarsi verso l’alto così da essere in grado di sviluppare riscaldamenti improvvisi stratosferici (SSW).

Questo elemento di calcolo è rappresentato dalla riga rossa tratteggiata verticale. In cima c’è la lettera D il che significa che il modello prevede un SSW maggiore di tipo Displacement tra la fine di gennaio e la metà della prima decade di febbraio (nel grafico alla data del 4 febbraio prossimo). L’attività delle onde in grafico che precedono la segnalazione dell’evento supporta un displacement del vortice stratosferico, però bisognerà fare i conti con il carattere sperimentale di questo modello e, soprattutto, con la realtà che non tarderà però a manifestarsi.

Per quanto riguarda l’aspetto previsionale, dando sempre credito a questo nuovo prodotto (sia pure in tutta la sua essenza sperimentale), si segnala un calo temporaneo dell’attività della seconda onda nella seconda metà dell’ultima decade di gennaio fino alla metà della prima decade di febbraio ma senza un annullamento completo. Tale ipotesi suggerisce una maggiore disposizione sui paralleli della seconda onda ma con una posizione forse più sbilanciata verso l’Europa centrale con il Mediterraneo centrale sul suo bordo sud-orientale con una circolazione secondaria debole in rientro da est. Questa interpretazione, tra l’altro, è supportata dalla presenza della prima onda traslata in arretramento verso il comparto aleutinico che favorisce una intensificazione del getto atlantico e un conseguente tilting dell’onda atlantica. La presenza dell’onda 1T per la fine del corrente mese mi induce a pensare che possa riproporsi una nuova ondata artica sulle aree centro orientali degli Stati Uniti. Successivamente dalla fine della prima decade di febbraio sembra potersi ripresentare un nuovo rallentamento del getto atlantico con una presumibile nuova fase meridiana per l’Europa per la seconda parte di febbraio. Il modello, per quell’epoca, evidenzia una graduale ripresa della terza onda e questo ci consente di ipotizzare una crescente formazione di una struttura di blocco orientale che per la fine di febbraio e inizi marzo potrebbe favorire un canale depressionario sull’Europa centro-meridionale in un contesto quindi nuovamente più umido e con temperature sotto media ma senza particolari eccessi vista la probabile provenienza nord atlantica delle correnti.

Ora però. solo la realtà ci dirà se questi sforzi di elaborazione modellistica e di prognosi vanno nella giusta direzione.

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