La lotta per la vita o la morte

La lotta per la vita o la morte

Ottobre 8, 2022 Off Di miometeo

Manca un mese scarso all’inaugurazione della ventisettesima Conferenza delle Parti (COP 27) che  si terrà in quel di Sharm el-Shaikh, in Egitto e fosche nubi si addensano all’orizzonte. In questa breve analisi della situazione ai blocchi di partenza, iniziamo dall’evento preparatorio che normalmente precede ogni Conferenza delle Parti, ovvero la pre-COP. L’evento pre-COP27 si è concluso da poco a Kinshasa, nella Repubblica del Congo, e gli auspici non mi sembrano dei migliori.

Il ministro degli affari esteri egiziano, designato a presiedere la COP27, ha messo subito i piedi nel piatto: mancano ancora i cento miliardi di dollari che i Paesi sviluppati devono (pardon, dovrebbero) trasferire a quelli emergenti. Tutti sappiamo che senza soldi non si cantano messe, ma, sembra, che il vecchio adagio sia ignoto alle teste pensanti delle Nazioni Unite. Sono ormai anni, decenni per meglio dire, che si parla di questi fantomatici  cento miliardi di dollari, ma non se ne trova traccia da nessuna parte. Hanno rappresentato lo scoglio contro cui si sono infrante tutte le COP svoltesi sino ad oggi e sarà quello che determinerà il naufragio anche di questa.  Ormai tutti si sono resi conto che essi sono diventati più una bandiera che un fatto concreto: ne servono molti, ma molti di più, però, questi benedetti cento miliardi di dollari sono necessari per buttare un po’ di fumo negli occhi. Lo dicono a chiare lettere un po’ tutti, ma è stato il Presidente della prossima Conferenza delle Parti, il Ministro degli affari esteri egiziano, che si è assunto l’onere di parlarne in modo chiaro: se i Paesi sviluppati non danno un segnale, onorando gli impegni presi, verrà erosa la fiducia nella “liturgia” delle COP.

La sua analisi è stata, però, più ampia e può essere riassunta nella seguente dichiarazione:

“il finanziamento della mitigazione sta ricevendo più attenzione dell’adattamento” mentre “gli strumenti di finanziamento sono ancora per lo più prestiti non agevolati, piuttosto che prestiti agevolati e sovvenzioni che rappresentano solo il 6% dei finanziamenti per il clima

Dello stesso avviso il ministro dell’ambiente del Congo che si è detta preoccupata perché:

“Il continuo mancato rispetto degli impegni da parte dei Paesi è diventato una cosa normale. Il fulcro dei colloqui verte su come le nazioni più ricche e industrializzate dovrebbero assumersi la responsabilità finanziaria per il loro ruolo nella crisi climatica. Il G20 è responsabile dell’80% dell’inquinamento nel mondo. Il vero dibattito di questo pre-COP e alla COP27 è sulla responsabilità dei paesi inquinanti”.

Traducendo dal burocratese appare chiaro che i Paesi in via di sviluppo sono profondamente delusi dall’atteggiamento dei Paesi sviluppati che vogliono trasferire risorse ai Paesi del terzo mondo, ma non sotto forma di prestiti a tasso agevolato o a fondo perduto, ma sotto forma di prestiti che assicurino un sicuro ritorno economico. I Paesi in via di sviluppo continuano a vedere quelli sviluppati nello stesso modo in cui li hanno sempre visti: intenti a tutelare solo ed esclusivamente i propri interessi, a scapito dei Paesi in via di sviluppo e completamente indifferenti alle difficoltà che questi ultimi dovranno affrontare, rinunciando allo sviluppo basato sullo sfruttamento delle fonti energetiche fossili. 

Un esempio illuminante di questa situazione, lo troviamo proprio nella Repubblica del Congo che cerca di raggiungere un livello di sviluppo accettabile, grazie alle immense risorse naturali di cui dispone, in primis quelle energetiche, come ha dimostrato il “pellegrinaggio” nella regione del nostro Ministro degli esteri, alla disperata ricerca di fonti energetiche alternative a quelle russe. In Congo operano, però, quelle stesse multinazionali del fossile che i governanti del Congo accusano di essere responsabili della crisi climatica planetaria e che per estrarre “l’oro nero” ed altre risorse naturali, non esitano a distruggere migliaia di ettari di foresta pluviale, la stessa che le COP cercano di difendere e di incrementare, in quanto serbatoio di carbonio.  Come sostengono gli ambientalisti locali, l’Occidente ha investito in un Paese in via di sviluppo, ma solo per tutelare i propri interessi, acquistando a pressi irrisori i diritti di sfruttamento delle risorse naturali della Repubblica del Congo.

Siamo, quindi, alle solite: le questioni finanziarie sono il primo formidabile ostacolo al raggiungimento degli obiettivi che si prefigge l’ONU nella sua crociata contro i cambiamenti climatici. Sembra essersene reso conto anche il Segretario generale dell’ONU Guterres che, dal palco di Kinshasa, ha tuonato:

“Gli impegni collettivi dei governi del G20 che stanno arrivando sono troppo poco e troppo tardi. Le azioni delle economie sviluppate ed emergenti più ricche semplicemente non tornano. Nel loro insieme, gli impegni e le politiche attuali stanno chiudendo la porta alla nostra possibilità di limitare l’aumento della temperatura globale a 2 gradi Celsius, per non parlare di raggiungere l’obiettivo di 1,5 gradi. Siamo in una lotta per la vita o la morte per la nostra sicurezza oggi e la nostra sopravvivenza domani. Non c’è tempo per puntare il dito o girare i pollici. E’ tempo di un compromesso a livello quantitativo rivoluzionario tra le economie sviluppate e quelle emergenti. Il mondo non può aspettare. Le emissioni sono ai massimi storici e in aumento”

Belle parole, non c’é che dire, ma non credo che i tempi siano idonei a far si che esse facciano breccia nelle menti e nei cuori dei governi e dei cittadini delle nazioni sviluppate.  Ben altri sono i problemi che essi si trovano ad affrontare. Il mondo di oggi è profondamente diverso da quello dello scorso anno ed è un altro mondo rispetto a quello che partorì l’Accordo di Parigi nel 2015. Sono passati solo sette anni, ma è come se fosse passato un secolo. Oggi i cittadini ed i governi dei Paesi occidentali lottano con incrementi di prezzi mai visti nel terzo millennio; contro la penuria di materie prime, quelle energetiche innanzitutto; sono angustiati dalla paura di un possibile cataclisma nucleare che potrebbe scaturire dalla lotta senza esclusione di colpi in corso tra NATO e Russia sul terreno ucraino. Nell’Estremo Oriente soffiano sempre più forti venti di confronto tra gli Stati Uniti e la Cina. Sostengono gli analisti di problematiche geopolitiche che alla Cina non conviene iniziare un confronto militare con l’Occidente. Sostenevano la stessa cosa anche riguardo al confronto tra Russia ed Occidente ed abbiamo visto cosa è successo.

Di clima e politiche climatiche, credo, interessi poco o niente. Si tratta di argomenti che affascinano gente con la pancia piena e senza problemi esistenziali degni di nota, ma che trovano poco spazio nella situazione attuale. E’ come se a chi si lamenta della mancanza di pane, dicessimo di procurarsi delle brioches. Qualcuno lo disse alcuni secoli fa e sappiamo benissimo come andò a finire. 

Il primo a rendersene conto, è stato re Carlo III d’Inghilterra. Era già pronto a partire per l’Egitto, ma il Governo del suo Paese gli ha fatto chiaramente capire che non era il caso: i problemi ambientali possono attendere, prima bisogna sistemare la Russia e fare i conti con la pessima situazione economica che affligge il Regno Unito e poi si potrà pensare al cambiamento climatico. Ben misera fine per uno dei principali paladini della lotta ai cambiamenti climatici.

Un altro che ha dovuto fare un bel bagno di realismo, è stato il presidente Biden che, oggi, si è detto deluso dall’atteggiamento dei Paesi dell’OPEC. Cosa è successo? I Paesi produttori di petrolio riuniti nel cartello, invece di aumentare la produzione per tentare di abbassare i prezzi del petrolio e del gas, hanno deciso di ridurla allo scopo di mantenere alto il prezzo. Il presidente Biden ci è rimasto malissimo ed ha promesso iniziative per limitare le capacità dei produttori di combustibili fossili, di determinare il loro prezzo. Si apre un nuovo fronte di confronto e di scontro. Ed un altro ostacolo si para sul cammino della COP 27.

In questo quadro non ci vuole molta immaginazione a prevedere l’epilogo della COP 27. Già immagino, infatti, le trattative tra Paesi che non hanno quasi più nulla in comune. Cosa si diranno i rappresentanti della Russia e quelli dei Paesi occidentali? E quelli della Cina come si relazioneranno con quelli di USA, Gran Bretagna, Australia, Corea del Sud e Giappone? Come reagiranno i Paesi in via di sviluppo a questa nuova situazione congiunturale? E l’India che acquista enormi quantitativi di petrolio dalla Russia, usufruendo di prezzi fortemente scontati, come si posizionerà sullo scacchiere della COP 27? Ed i Paesi produttori di petrolio come reagiranno alle minacce non tanto velate dell’Occidente?

 

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