
Come ogni mattina, guardiamo fuori dalla finestra. Magari c’è quel sole pallido, un po’ inutile, tipico degli inverni scialbi che ci siamo abituati a vivere in Italia negli ultimi anni. Niente neve, niente freddo vero, solo umidità e nemmeno brina. Eppure, lassù, a trenta chilometri sopra la nostra testa, potrebbe star succedendo il finimondo.
Nessuno lo vede, nessuno lo sente. Ma nella stratosfera, quel layer silenzioso e rarefatto dove non volano nemmeno gli aerei di linea, a volte scoppia una bomba termica. Si chiama Stratwarming. O, per essere precisi e un po’ pedanti, Sudden Stratospheric Warming (SSW).
È il regista occulto delle grandi ondate di gelo. Quello che decide se a febbraio gireremo con la giacca a vento aperta o se dovremo spalare la neve davanti al garage. Ma come funziona davvero questa diavoleria atmosferica? Perché un riscaldamento (il nome lo dice chiaro) dovrebbe portarci il gelo della Siberia in casa? Mettetevi comodi, perché la storia è contorta, affascinante e, diciamolo, anche un po’ inquietante.
Una trottola che gira (finché non si rompe)
Per capire il caos, bisogna partire dall’ordine. Durante l’inverno, sopra il Polo Nord, c’è una gigantesca massa d’aria gelida che ruota vorticosamente in senso antiorario. È il famoso Vortice Polare. Immaginatelo come una trottola che gira a velocità folle. Finché gira forte – con venti che lassù sfiorano i 300 km/h – il freddo, quello vero, rimane intrappolato nel recinto artico. Noi qui in Europa, al riparo delle correnti miti dell’Atlantico, stiamo tranquilli.
Poi però succede l’imprevisto.
A volte, nel cuore dell’inverno, questa trottola subisce un attacco. Non da fuori, ma dal basso. Onde di energia che risalgono dalla troposfera (dove viviamo noi) vanno a sbattere contro il vortice stratosferico. L’impatto è devastante. La temperatura in stratosfera, che di solito viaggia sui -70°C o -80°C, schizza verso l’alto. Non parliamo di spiccioli. In due o tre giorni si possono guadagnare anche 50°C o 60°C. Avete letto bene. È come se il Polo passasse dal congelatore al forno in un weekend.
Questo è lo Stratwarming. Una febbre violentissima e improvvisa.
L’effetto domino: dal cielo alla terra
E qui arriva il bello – o il brutto, dipende dai punti di vista. Questo calore improvviso agisce come un freno a mano tirato a 200 all’ora in autostrada. I venti zonali, quelli che tenevano compatto il vortice girando da ovest verso est, rallentano. Si inchiodano. Nei casi più estremi, fanno pure inversione a U e iniziano a soffiare da est verso ovest.
Il Vortice Polare, poveretto, va in tilt. Si deforma, si allunga come una gomma da masticare, oppure si spezza proprio in due (gli esperti lo chiamano Split, ma ci arriviamo dopo). Quando la trottola si ferma o gira al contrario, il recinto del freddo si apre. L’aria gelida, pesante come piombo, non ha più nulla che la trattiene al Polo. E allora cola giù. Scivola verso le medie latitudini. Verso di noi.
Attenzione però: non è una cosa immediata. Non è che oggi si scalda la stratosfera e domani nevica a Roma. Magari fosse così semplice fare previsioni. L’atmosfera è un bestione pigro, ha i suoi tempi di reazione. Dallo “scoppio” in alto all’arrivo del gelo in basso possono passare due settimane, a volte un mese intero. È una lunga attesa snervante per i meteorologi, che vedono i modelli matematici impazzire cercando di capire dove colpirà la sciabolata artica.
Quando il respiro della Siberia tocca l’Europa
Se tutto si incastra nel modo “giusto” (o sbagliato), le conseguenze sono storiche. Con i venti occidentali bloccati, si formano dei muri di alta pressione anomali, spesso tra la Scandinavia e l’Islanda. Questi blocchi funzionano come scivoli: prendono l’aria gelida che staziona sulla Russia o sulla Siberia – il famigerato Burian – e la spediscono dritta nel cuore del Vecchio Continente.
È successo nel 1985, quell’inverno che i nostri genitori ancora raccontano con gli occhi sgranati. È successo nel 2012 e, più di recente, nel febbraio 2018. Città come Venezia, Parigi o Berlino si ritrovano improvvisamente sotto zero, spazzate da venti che tagliano la faccia. Tutto perché, venti giorni prima, l’aria a 30 km di altezza si era scaldata troppo. Assurdo, no?
Analisi tecnica: smontiamo il motore dello Stratwarming
Bene, fin qui l’abbiamo raccontata semplice. Ma se siete qui è perché volete capire davvero cosa succede, magari con qualche termine tecnico da spendere con cognizione di causa. Togliamo la patina divulgativa e guardiamo sotto il cofano della macchina atmosferica.
Lo Stratwarming non è magia, è fluidodinamica geofisica. Il fenomeno nasce quasi sempre da un disturbo delle Onde di Rossby. Sono quelle immense ondulazioni del flusso atmosferico generate dalla rotazione terrestre e dalla presenza di ostacoli enormi come l’Himalaya, le Montagne Rocciose o il contrasto termico tra oceani e continenti. In inverno, queste onde planetarie si propagano verticalmente. Se sono abbastanza energetiche, entrano in stratosfera e lì “deflagrano”. In termini fisici, si parla di dissipazione del Flusso di Eliassen-Palm (EP Flux). È un trasferimento brutale di momento ed energia dalla troposfera alla stratosfera.
I numeri che contano: Major vs Minor
Non tutti i riscaldamenti sono uguali. I meteorologi distinguono tra eventi Minor e Major. Un Minor Warming è un fuoco di paglia: la temperatura sale, il gradiente termico si inverte (il Polo diventa più caldo delle zone circostanti), ma la circolazione dei venti a 60°N e 10 hPa (circa 30.000 metri) rimane occidentale. Risultato? Spesso pochi effetti al suolo.
Il vero mostro è il Major Stratospheric Warming (SSW). Qui la faccenda si fa seria. Per classificarlo tale, servono due condizioni precise e simultanee:
- Un aumento della temperatura polare a 10 hPa mostruoso (anche +50°C in meno di una settimana).
- L’inversione completa dei venti zonali medi (U-wind) a 60°N, che diventano Easterlies (da est).
Quando avviene questo, si innesca il coupling, l’accoppiamento verticale. L’anomalia scende. Per monitorarla si usa l’indice NAM (Northern Annular Mode). Immaginatelo come un grafico che scende in picchiata verso valori negativi. Quando il valore negativo tocca la soglia critica e si propaga fino al suolo, la struttura del Vortice Polare Troposferico collassa.
Displacement o Split: la geometria del caos
Gli effetti dipendono anche dalla forma che assume il vortice morente.
- Displacement (Dislocazione): Il vortice viene preso a spallate e spostato via dal Polo, magari finendo sull’Eurasia. Porta freddo, sì, ma è un freddo più “ordinato”.
- Split (Scissione): È lo scenario da film catastrofico. Il vortice principale si spezza in due o più lobi distinti (vortici figli). Questa configurazione è quella che solitamente genera le ondate di gelo più severe, persistenti e difficili da prevedere, perché la circolazione diventa totalmente antizonale (retrograda). È la porta aperta per le correnti siberiane che risalgono il flusso “al contrario”, da est verso ovest.
Il clima sta cambiando: c’entra qualcosa?
Impossibile non chiederselo. Il riscaldamento globale – il Global Warming – sta influenzando lo Stratwarming? Sembra un gioco di parole, ma la questione è maledettamente seria.
La scienza qui non ha ancora una risposta definitiva scolpita nella pietra, ma ci sono indizi pesanti. Alcuni studi recenti suggeriscono una correlazione tra la fusione dei ghiacci artici (specie nel Mare di Barents e di Kara) e un vortice polare più debole. Il ragionamento è questo: meno ghiaccio significa più calore rilasciato dall’oceano all’atmosfera in autunno. Questo calore extra amplifica le Onde di Rossby, che diventano più aggressive nel martellare il vortice stratosferico.
Quindi sì, paradossalmente un mondo più caldo potrebbe regalarci, almeno per un po’, inverni con episodi di gelo acuto più frequenti in Europa e Nord America, proprio a causa di un vortice polare “ubriaco” e instabile. Non è che farà più freddo in media – anzi, le temperature medie salgono inesorabilmente – ma gli scambi di calore saranno più violenti. Estremi. O tutto o niente.
Monitorare l’invisibile
Se vi è venuta voglia di non subire passivamente il meteo ma di anticiparlo, smettete di guardare le app con le icone del sole e della nuvola. Quelle servono per domani. Per capire cosa succederà tra un mese, bisogna guardare le carte a 10 hPa. Bisogna cercare i grafici dei venti zonali e le temperature sopra il Polo.
Lo Stratwarming è la dimostrazione che viviamo in un sistema connesso in modo inimmaginabile. Un’onda di energia parte dall’Himalaya, sale per trenta chilometri, riscalda l’aria sopra l’Artico, ferma un vortice gigante e, tre settimane dopo, ci fa battere i denti mentre aspettiamo l’autobus a Milano. Se non è meraviglia questa.
Dove approfondire: fonti e riferimenti autorevoli
Se volete andare oltre la superficie e leggere i dati crudi o le pubblicazioni scientifiche originali (in inglese, ovviamente), ecco dove dovete cliccare. Lasciate perdere i blog sensazionalistici, qui si parla di scienza vera:
- NOAA Climate Prediction Center – È la Bibbia per il monitoraggio stratosferico. Pubblicano grafici aggiornati quotidianamente su temperatura e venti a 10 hPa.
- ECMWF (European Centre for Medium-Range Weather Forecasts) – Il centro europeo di Reading. Le loro analisi sugli eventi di SSW sono tra le più precise al mondo.
- NASA Ozone Watch – Non serve solo per l’ozono. Le loro mappe interattive mostrano lo stato di salute del vortice polare in tempo reale.
- Met Office Research – Gli inglesi studiano questi fenomeni da decenni, specialmente per capire l’arrivo del gelo da est (la famosa “Beast from the East”).
- Stratospheric Observatory – Freie Universität Berlin – Storicamente uno dei centri più importanti in Europa per la raccolta dati sulla stratosfera dell’emisfero nord.
- Nature Geoscience – Se cercate paper accademici sul legame tra ghiacci artici e vortice polare, questa è la rivista da consultare.
- American Meteorological Society (AMS) Journals – Qui trovate gli studi fondamentali (come quelli di Baldwin e Dunkerton) che hanno spiegato come il segnale scende dalla stratosfera alla troposfera.
L’Europa andrà nel freezer. In attesa dell’evento di Stratwarming