Nella notte tra sabato 25 e domenica 26 ottobre, alle 03:00 ora locale in Italia e in tutti gli Stati che la adottano, scatterà il ritorno all’ora solare. Bisognerà spostare le lancette indietro di un’ora, riportandole alle 02:00, così da guadagnare sessanta minuti di sonno. Oggi i dispositivi digitali aggiornano l’orario in automatico ma non dimenticate di farlo per sveglie, forni e orologi analogici che richiedono ancora una regolazione manuale.
Un po’ di storia – L’idea di adattare l’orario alla luce naturale nacque nel 1784 da un’intuizione di Benjamin Franklin, fu poi ripresa dall’inglese William Willett nel 1907 e adottata per la prima volta nel 1916 da Germania e Regno Unito in piena guerra, per risparmiare carbone ed energia. Per decenni l’ora legale ha avuto la funzione di ridurre i consumi soprattutto dell’illuminazione (pensate a quando si utilizzavano le candele), la sua massima espansione si è avuta negli anni del secondo dopoguerra con oltre 140 Paesi che l’hanno sperimentata almeno una volta nella storia; oggi però il numero di stati che la applicano regolarmente è molto più basso, dal 2015 si era già ridotto a 80 e attualmente nel 2025 saranno solo in 70 Paesi tra cui l’Italia.
I benefici superano davvero i costi? – Quando inizialmente fu introdotta l’illuminazione pesava moltissimo sui consumi, molto più del riscaldamento. Oggi invece i sistemi a LED riducono di molto il consumo, mentre riscaldamento e climatizzazione incidono di più, in certi casi aumentando persino i consumi invece che ridurli. Diversi studi clinici hanno inoltre evidenziato che i cambi di orario provocano disturbi del sonno, peggiorano la qualità della vita, aumentano il rischio di incidenti stradali e cali di produttività nei giorni immediatamente successivi al passaggio. In alcuni Paesi si sono registrati picchi di problemi cardiaci e depressione stagionale legati al cambiamento. Non ultimo, il passaggio avanti e indietro due volte l’anno crea complessità nei trasporti, nei sistemi informatici, nella programmazione degli orari di lavoro internazionali. In un mondo globalizzato, questa “frizione” è vista come un costo inutile. Per queste ragioni molti Paesi hanno deciso di abbandonarla. Il Giappone già dal 1951, Malesia e Taiwan dal 1981, Ecuador dal 1993 la Russia dal 2011, seguita da Turchia, Brasile, Messico e Paraguay. L’unione Europea ha pianificato di abolirla ma la decisione finale non è ancora arrivata.