
Per anni la Pianura Padana ha rappresentato uno dei laboratori naturali più interessanti d’Europa per lo studio della neve a bassa quota. Il cosiddetto cuscinetto freddo padano, una massa d’aria gelida intrappolata nei bassi strati, era una presenza quasi rituale degli inverni del passato. Arrivava con regolarità tra fine novembre e inizio dicembre, si consolidava a gennaio e spesso resisteva fino a febbraio inoltrato. Oggi quello schema appartiene sempre più alla memoria climatica. Gli inverni sono diventati mediamente più miti, il freddo persistente è raro, la neve in pianura è un evento episodico. Eppure, ed è qui che nasce il paradosso, quando il freddo riesce ancora a strutturarsi, può produrre nevicate persino più abbondanti rispetto a decenni fa.
È un’affermazione che può sembrare controintuitiva, soprattutto in un’epoca segnata dal Riscaldamento Globale. Ma non lo è. Anzi, è perfettamente coerente con la fisica dell’atmosfera e con ciò che osserviamo nei dati climatici e nei modelli numerici. Per comprenderlo serve però cambiare prospettiva e smettere di ragionare in termini di stagioni “classiche” da tre mesi, un concetto che il clima attuale ha ormai superato.
Il declino del cuscinetto freddo, ma non la sua scomparsa
La Pianura Padana resta una conca chiusa su tre lati, circondata da Alpi e Appennini, con uno sbocco naturale verso l’Adriatico. Questa conformazione orografica la rende ancora oggi uno dei luoghi più predisposti in Europa all’intrappolamento dell’aria fredda nei bassi strati. Ciò che è cambiato è la frequenza e la durata di questo meccanismo.
Non è più necessario, né realistico, attendersi mesi consecutivi di freddo intenso. Basta un periodo relativamente breve, anche solo cinque o sette giorni, caratterizzato da forte inversione termica e da un anticiclone non troppo caldo, per consentire l’accumulo di aria gelida al suolo. Se l’alta pressione non è eccessivamente robusta, il freddo riesce a sopravvivere nei bassi strati, soprattutto nelle zone interne e nelle pianure.
È in questo contesto che entra in gioco l’incastro decisivo. Se mentre il lago d’aria fredda è ancora integro sopraggiunge una perturbazione atlantica ricca di umidità, le condizioni diventano ideali per nevicate di grande portata, anche in pianura. Non è un’ipotesi teorica. È un meccanismo ben noto alla climatologia del Nord Italia e documentato in numerosi eventi storici.
La nevicata da sovrascorrimento: un processo chiave
Dal punto di vista fisico, il meccanismo è chiaro. L’aria più calda e umida in arrivo dall’Atlantico o dal Mediterraneo tende a scorrere sopra lo strato gelido preesistente, senza riuscire inizialmente a scalzarlo. Questo processo, noto come nevicata da sovrascorrimento, è uno dei pilastri della meteorologia invernale padana. Finché il cuscinetto freddo regge, le precipitazioni cadono sotto forma di neve anche con temperature positive in quota.
Il problema, rispetto al passato, è che le masse d’aria umida sono oggi mediamente più calde. Ed è qui che entra in gioco una delle leggi fondamentali della fisica dell’atmosfera. Secondo l’equazione di Clausius-Clapeyron, un’aria più calda è in grado di contenere quantità maggiori di vapore acqueo. Questo significa una cosa molto semplice e molto concreta: quando piove o nevica, tende a farlo con maggiore intensità.
Lo osserviamo quotidianamente nelle stagioni calde, con nubifragi sempre più violenti, ma il principio vale anche in inverno. Se l’aria umida arriva sopra uno strato gelido, può produrre precipitazioni nevose abbondanti, persino estreme. È questo il motivo per cui una nevicata di 30, 40 o persino 50 centimetri in Pianura Padana non è in contrasto con il Riscaldamento Globale. Anzi, in alcuni casi ne è una conseguenza indiretta.
Meno neve, ma eventi più intensi
Il punto centrale è proprio questo. La probabilità complessiva di vedere la neve in pianura è diminuita, e su questo non ci sono dubbi. I dati climatici parlano chiaro. Ma quando le condizioni si allineano, gli eventi possono risultare più intensi rispetto al passato. È una dinamica che vale per molti fenomeni estremi, non solo per la neve.
Non si tratta di un ritorno agli inverni del Novecento. Quelli non torneranno. Il clima che conoscevamo non esiste più. Ma questo non significa che il freddo sia scomparso dalla scena. Si manifesta in modo diverso, più intermittente, più irregolare, ma non per questo meno incisivo.
Il ruolo del Vortice Polare
Per comprendere se e quando questi incastri possano verificarsi, è indispensabile guardare più a nord. Il Vortice Polare rappresenta una delle chiavi di lettura principali della circolazione invernale emisferica. In modo semplificato, può essere immaginato come una grande trottola di aria fredda che ruota sopra i poli. In realtà è un sistema complesso, con una componente stratosferica e una troposferica, ciascuna con dinamiche proprie.
Negli ultimi anni, il Vortice Polare Stratosferico ha mostrato più volte segnali di instabilità, legati a riscaldamenti della stratosfera. Nella remota, ma non impossibile, ipotesi di un Stratwarming maggiore, i venti zonali potrebbero invertirsi, con effetti dirompenti sulla circolazione invernale. Eventi di questo tipo aumentano la probabilità di irruzioni gelide di origine siberiana verso l’Europa, come accaduto nel 2012 e nel 2018.
Nel frattempo, anche il Vortice Polare Troposferico appare meno compatto rispetto al passato. Le ripetute ondate di gelo che hanno interessato il Nord America ne sono una manifestazione. Quando il vortice è debole, il freddo tende a sfuggire dalle alte latitudini, raggiungendo le medie latitudini in modo più irregolare.
Un contesto favorevole nel cuore dell’inverno
Le proiezioni a medio-lungo termine indicano la possibilità di nuovi impulsi freddi sull’Europa nel cuore dell’inverno, in un periodo dell’anno in cui il soleggiamento è minimo e il suolo ha già perso gran parte del calore accumulato. Questo fattore aumenta la probabilità di neve a quote molto basse, soprattutto se le masse d’aria fredde riescono a stabilizzarsi nei bassi strati prima dell’arrivo delle perturbazioni.
È fondamentale ribadirlo. Parliamo di probabilità, non di certezze. La previsione di eventi nevosi in Pianura Padana resta una delle sfide più complesse della meteorologia. Basta una variazione minima nella traiettoria di una depressione o nell’intensità delle correnti per trasformare una nevicata in pioggia gelata o in semplice pioggia.
La Niña e le teleconnessioni
A complicare ulteriormente il quadro intervengono le grandi teleconnessioni oceaniche e atmosferiche. La Niña, in particolare, è una configurazione che storicamente favorisce blocchi anticiclonici sull’Atlantico e devia le perturbazioni verso traiettorie più fredde. Non è una garanzia di inverno rigido sull’Europa, ma rappresenta un elemento da monitorare attentamente, soprattutto in un contesto di estremizzazione dei fenomeni meteo.
Questi fattori non agiscono mai da soli. Si sommano, si compensano, talvolta si annullano. È il motivo per cui la meteorologia moderna si basa sempre più su analisi probabilistiche e meno su certezze assolute.
Dicembre mite, ma non definitivo
Il periodo attuale è caratterizzato da condizioni piuttosto miti. Le fasi di maltempo non mancano, ma il freddo vero appare ancora lontano. Tuttavia, i modelli di previsione iniziano a individuare segnali di cambiamento, soprattutto verso la parte finale dell’anno. Non si tratta di un crollo termico improvviso, ma di un graduale ritorno verso valori più consoni alla stagione.
Per il Natale, le correnti da sud-ovest potrebbero favorire nevicate abbondanti sulle Alpi, mentre l’Appennino resterebbe penalizzato da quote neve elevate. È una configurazione più autunnale che invernale. Ma proprio dopo questa fase, alcuni scenari ipotizzano l’ingresso di masse d’aria più fredde, capaci di abbassare le temperature e di rendere nuovamente interessante il discorso neve a bassa quota.
Amplificazione Artica e corrente a getto
Qui entra in gioco un altro concetto fondamentale. L’Amplificazione Artica. L’Artico si sta riscaldando più rapidamente del resto del pianeta, riducendo il gradiente termico tra Polo ed Equatore. Questo gradiente è il motore della corrente a getto. Quando si indebolisce, la corrente tende a ondularsi, diventando meno veloce e più instabile.
Una corrente a getto ondulata favorisce configurazioni bloccate, in grado di intrappolare per settimane masse d’aria calda o fredda. È così che un pianeta più caldo può comunque sperimentare episodi di gelo intenso e persistente. Non è un paradosso, ma una conseguenza diretta delle nuove dinamiche climatiche.
Il futuro della neve in Pianura Padana
La domanda chiave resta sempre la stessa. È uno scenario plausibile per questo inverno? La risposta più onesta è che non è probabile, ma non è nemmeno impossibile. Gli episodi di neve intensa in Pianura Padana diventeranno sempre più rari, ma non scompariranno del tutto. Quando si verificheranno, potrebbero essere brevi, concentrati, ma anche sorprendenti per intensità.
La Pianura Padana resta una pedina fondamentale dello scacchiere meteo europeo. Il cuscinetto freddo non è morto, è solo più fragile. E quando incontrerà le perturbazioni giuste, potrà ancora imbiancare le città e le campagne, ricordandoci che l’inverno, anche in un clima che cambia, può ancora dire la sua.
Questo non contraddice il Riscaldamento Globale. Lo conferma.
Credit: analisi basate su dati e modelli del ECMWF – European Centre for Medium-Range Weather Forecasts, NOAA – National Oceanic and Atmospheric Administration, Copernicus Climate Change Service, IPCC, NASA Goddard Institute e American Meteorological Society.
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