Perché in montagna ci si scotta anche con 20 gradi: il trucco del meteo che inganna

Se in riva al mare con 32 gradi ci si protegge istintivamente, in montagna a 2000 metri, con 20°C e una leggera brezza, molti si rilassano troppo. Il risultato? Scottature intense, pelle arrossata, labbra screpolate, spesso già dopo poche ore all’aria aperta. Ma perché succede? Perché, paradossalmente, il sole in montagna può essere più pericoloso che in pianura, anche con temperature moderate e senza afa. Il meteo ci inganna, e la percezione termica ci tradisce.

 

L’aria più fresca non blocca i raggi UV

A differenza del caldo, che sentiamo sulla pelle in modo immediato, la radiazione solare ultravioletta (UV) è invisibile e silenziosa. La temperatura dell’aria non ha alcun legame diretto con l’intensità dei raggi UV. Si può prendere una scottatura anche con 15°C, se il cielo è limpido e il sole alto. E in montagna, il sole è letteralmente più vicino.

Ogni 1000 metri di altitudine, l’intensità della radiazione UV aumenta in media del 10-12%, a causa del minore spessore dell’atmosfera attraversato dai raggi solari. A 2000 metri, il sole è circa 25% più potente che al livello del mare. E se c’è anche neve o roccia chiara, la riflessione luminosa amplifica ulteriormente il rischio di ustioni.

 

Il cielo è più limpido, l’atmosfera più sottile

In quota, l’aria è più secca e meno inquinata, e questo rende il cielo visivamente più limpido. Ma quella chiarezza non è solo una bellezza paesaggistica: significa anche meno filtri naturali per i raggi UV, che arrivano diretti sulla pelle. La mancanza di umidità riduce l’effetto schermante dell’atmosfera, e l’assenza di polveri in sospensione o di nubi parziali favorisce l’esposizione totale.

A peggiorare la situazione, spesso, è l’abbigliamento leggero usato durante le escursioni: canottiere, pantaloncini, cappellini poco coprenti. L’effetto è quello di esporsi senza protezione, sottovalutando del tutto la forza reale del sole d’alta quota.

 

La neve moltiplica il rischio

In piena estate, sopra i 2500–3000 metri, la neve è ancora presente su molte vette alpine e dolomitiche. E la neve riflette fino all’85% dei raggi UV, contro il 10–15% di un terreno erboso. Questo significa che la pelle riceve non solo l’irraggiamento diretto, ma anche quello riflesso dal basso, proprio come accade in mare con l’acqua.

In pratica, si viene colpiti da due direzioni contemporaneamente, e anche gli occhi sono a rischio: fotofobia, lacrimazione, addirittura cecità da neve in casi estremi. Non a caso, l’uso di occhiali da sole ad alta protezione è obbligatorio sopra certe quote, anche in estate.

 

In montagna non basta “sentire fresco” per essere al sicuro

È questo il paradosso più subdolo del meteo in quota: la percezione soggettiva non corrisponde al rischio reale. La brezza montana, il clima secco e l’assenza di sudore danno una sensazione di benessere che maschera il pericolo, mentre la pelle continua ad assorbire radiazioni a livelli molto superiori rispetto alla pianura.

Le conseguenze non sono solo arrossamenti momentanei. Scottature frequenti in alta quota possono contribuire a danni cutanei permanenti, aumentare il rischio di tumori della pelle, accelerare l’invecchiamento cutaneo e compromettere la capacità di termoregolazione nelle escursioni successive.

Perché in montagna ci si scotta anche con 20 gradi: il trucco del meteo che inganna