Polorsi

La notizia è di quelle che fanno tremare i polsi: nel 2006 un cacciatore canadese sparò contro un orso che… non somigliava agli altri. Si sarà trattato di un cacciatore razzista? Al tribunale della Diversity la facile sentenza. Resta il fatto che il plantigrado in questione fu sottoposto al test del DNA, dal quale emerse una realtà sconcertante: era in parte un grizzly, e in parte un orso polare. Per evitare di dargli dell’ibrido, del meticcio, o ancora peggio del bastardo, fu quindi coniato il termine ‘Brolar Bear’, ibrido linguistico tra i termini inglesi grizzly e polar. Oppure ‘Pizzly’, che fa più morbidoso e accattivante per gli snowflakes di tutto il mondo, nonostante possa richiamare una catena di fast food.

Fatto sta che il ‘Polorso’ (viva l’Italiano) da allora è comparso sempre più spesso nel Nordamerica, e i primi avvistamenti si registrano anche dall’altra parte della nuova cortina di ferro: in Siberia, dove il Polorso avrà sicuramente assunto caratteristiche di aggressività, antipatia e propensione all’etilismo che saranno presto oggetto di prestigiosi e referatissimi paper scientifici.

Per adesso gli studi si concentrano su altro: pare infatti che l’orso bruno siberiano si stia spingendo più a nord che in passato, in zone prima appannaggio del suo cugino bianco come la tundra, o distretti della Yacutia. Questa migrazione di orsi bruni in zone abitate dai bianchi faciliterà, secondo gli scienziati russi, il meticciamento. Con conseguente ulteriore diffusione dei polorsi.

Ovviamente ad essere stato chiamato in causa è il Climate Change: gli orsi bruni vanno a nord perché fa meno freddo, mentre i bianchi vanno a sud perché lo scioglimento dei ghiacci rende il loro habitat meno favorevole. Resta il fatto che ciò che non piace più al bianco, pare piacere invece molto al bruno, e quindi ci si chiede dove stia il problema se i due si scambiano gli habitat. E se magari, complici i rigori del freddo e il calore dei loro grandi cuori, lo scambio geografico si traduce anche in scambio di coppia. Con conseguente diffusione di piccoli e teneri polorsi.

Alcuni studi (i soliti) ipotizzano che l’orso polare potrebbe sparire nel 2100 a causa del Climate Change. Ma attenzione!!! La scienza ci informa che la sparizione del bianco potrebbe essere ulteriormente accelerata dal meticciamento col bruno, per cui la pura razza bianca potrebbe sparire anche prima. Tanto più, che pare che le famiglie di orsi allargate tendano a replicare una varietà di schemi familiari prima conosciuta (e promossa) solo dal genere umano. Ad esempio, si è scoperto che un polorso aveva una madre polorsa, e un padre bruno. Reclamerà anche lui un riconoscimento formale nel nome della religione molto umana della Diversity? Come lo chiameremo? Brunpolorso?

Resta il fatto che il polorso pare avere un chiaro vantaggio competitivo rispetto al bianco: mentre quest’ultimo è pressoché esclusivamente carnivoro, il suo meticciamento col bruno potrebbe creare un orso quasi-bianco che però ha una dieta onnivora, e quindi più ‘resiliente’, per dirla alla maniera dei migliori. Meticciamento che potrebbe quindi essere salvifico per l’orso bianco in quanto gli permetterebbe, seppur in una forma meno bianca della precedente, di continuare a vivere nonostante la minaccia mortale del Climate Change.

In altre parole: l’orso bianco potrebbe sopravvivere al climate change, ma non sarà più bianco come prima.

Un’altra storia

La narrativa che sottende all’argomento trattato è obiettivamente un favoloso cortocircuito del politically correct. Pare infatti di capire che il meticciamento per gli orsi sia un male, magari un male necessario alla sopravvivenza, ma comunque un male giacché il bianco sarà meno bianco e la purezza della razza sarà compromessa per sempre.

È un male anche la migrazione dei ‘meno-bianchi’ verso nord, e la conseguente propensione di bianchi e meno bianchi ad accoppiarsi tra loro. Sono tutti segnali di un mondo che va a rotoli, parrebbe di capire.

Eppure con riferimento agli esseri umani, gli stessi media e gli stessi scienziati raccontano una narrativa esattamente opposta: a causa del Climate Change si emigra al nord perché si sta meglio che al sud, e comunque il meticciamento è espressione della selezione della specie che porterà solamente ricchi benefici, genetici, culturali o sociali che siano.

Il cortocircuito è ovviamente legato ad una unica necessità da parte dei megafoni del Bene: dipingere il Climate Change come IL problema globale per eccellenza. Del resto, i soldi devono confluire verso la cosiddetta “transizione energetica”. E qualsiasi narrativa, che si parli di polorsi, di tempo atmosferico o di guerra, deve andare esclusivamente nella direzione di proteggere quel gigantesco flusso di denaro, e nient’altro.

Eppure il polorso ci racconta un’altra storia, a voler vedere oltre la solita ridicola cortina fumogena della narrativa dominante. Ovvero che la natura ha sempre fatto il suo corso (o il suo polorso se si preferisce), adattandosi ai cambiamenti climatici e andando nella direzione di rendere le specie animali più competitive nell’habitat di riferimento. Non sarà per caso, che proprio gli studi sugli orsi hanno dimostrato che il bianco e il bruno avevano un antenato comune, appena 500,000 anni fa. E quindi il polorso non rappresenterebbe altro che un ritorno al passato, un cerchio che si chiude per una mera questione di convenienza genetica.

Una storia di resilienza, per dirla come piace dalle parti di Davos, e una grande lezione per tutti: è inutile perdere tempo (e soprattutto soldi) nella pretesa ridicola e intellettualmente umiliante di poter cambiare il clima della Terra. Dovremmo piuttosto impiegare il nostro tempo, e investire parte dei nostri soldi in una attività realmente utile all’umanità: l’adattamento, e la mitigazione dei rischi associati ad un clima che cambia e che continuerà a cambiare come ha sempre fatto nella storia del nostro bellissimo Pianeta.

Una lezione, questa del polorso, che ovviamente non potrà e non dovrà essere ascoltata.

 

 

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