Risolto il mistero dello zolfo nelle nebulose planetarie: ecco come hanno fatto gli astrofisici

Febbraio 17, 2024 Off Di miometeo

La soluzione di un enigma astrofisico

Un mistero che ha tenuto gli astrofisici con il fiato sospeso per vent’anni è stato finalmente risolto da due ricercatori del Laboratorio per la Ricerca Spaziale (LSR) dell’Università di Hong Kong (HKU). La questione riguardava la quantità di zolfo presente nelle Nebulose Planetarie (PNe), che risultava inferiore rispetto a quanto ci si aspettasse basandosi su misurazioni di altri elementi e oggetti astrofisici. Il livello di zolfo sembrava essere “scomparso in azione”, ma è stato finalmente individuato grazie all’utilizzo di dati altamente accurati e affidabili. I risultati di questa scoperta sono stati pubblicati nel Astrophysical Journal Letters.

 

Le Nebulose Planetarie e il loro studio

Le PNe sono involucri gassosi luminosi ed espulsi da stelle morenti, che hanno una durata relativamente breve rispetto alla vita delle stelle stesse. Questi oggetti celesti hanno sempre affascinato sia gli astronomi professionisti che gli appassionati, grazie alle loro forme colorate e variegate. Le PNe esistono solo per poche decine di migliaia di anni, mentre le stelle da cui provengono possono impiegare miliardi di anni prima di diventare “nane bianche”. Di conseguenza, le PNe offrono uno scorcio quasi perfetto delle ultime fasi della vita di una stella e sono una finestra scientifica essenziale per comprendere l’evoluzione stellare in fase avanzata, grazie ai loro ricchi spettri di linee di emissione che permettono studi dettagliati delle loro composizioni chimiche.

Studi precedenti hanno evidenziato che gli spettri ottici delle PNe mostravano un deficit variabile di zolfo, difficile da spiegare poiché questo elemento, noto come “elemento α”, dovrebbe essere prodotto insieme ad altri elementi come ossigeno, neon, argon e cloro in stelle di grande massa. Pertanto, si pensava che la sua abbondanza cosmica dovesse essere direttamente proporzionale a quella degli altri elementi. Tuttavia, mentre forti correlazioni tra le abbondanze di zolfo e ossigeno sono state osservate in altre regioni dell’universo, le PNe originarie da stelle di massa bassa a intermedia mostravano costantemente livelli inferiori di zolfo, creando la cosiddetta “anomalia dello zolfo” che ha perplesso gli astronomi per decenni.

La scoperta grazie a dati di alta qualità

Shuyu Tan, laureata in Fisica MPhil presso l’HKU e assistente di ricerca presso l’HKU LSR, insieme al suo supervisore, il professor Quentin PARKER, direttore dell’LSR, hanno utilizzato un campione senza precedenti di spettri ottici di alta qualità per circa 130 PNe situate nel centro della nostra Galassia. Questi dati, caratterizzati da un rapporto segnale/rumore (S/N) eccezionalmente alto e un rumore di fondo minimo, hanno permesso un’analisi chiara e dettagliata delle caratteristiche spettrali, aiutando il team a risolvere efficacemente il mistero.

Le PNe sono state osservate utilizzando il telescopio europeo dell’Osservatorio Meridionale Europeo (ESO) da 8m Very Large Telescope in Cile. Si è scoperto che l’anomalia dello zolfo era essenzialmente il risultato di una scarsa qualità dei dati per le linee di emissione dello zolfo negli spettri delle PNe. Utilizzare l’ossigeno come comparatore di metallicità di base per altri elementi si è rivelato inaccurato, mentre l’Argon ha mostrato una correlazione più forte con l’ossigeno per lo zolfo ed è stato suggerito come un indicatore più affidabile della metallicità e un elemento di confronto adatto. Quando un grande campione accuratamente selezionato di PNe viene osservato spettroscopicamente ad alto S/N su un grande telescopio, i dati rivelano per la prima volta un comportamento “in sincronia” dello zolfo nelle PNe, come visto e previsto per altri tipi di oggetti astrofisici, e l’anomalia stessa scompare. Gli autori hanno confutato le precedenti affermazioni secondo cui l’anomalia dello zolfo nelle Nebulose Planetarie era il risultato di stadi di ionizzazione dello zolfo più elevati sottovalutati o flussi di linee dello zolfo deboli. Questa scoperta sottolinea l’importanza critica di dati di alta qualità nel risolvere misteri scientifici.

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