Solo politica, solo soldi

Giugno 1, 2023 Off Di miometeo

Chi assiste più o meno distrattamente alle carnevalate “ambientaliste” dei ragazzi impegnati da qualche mese ad imbrattare quadri e monumenti, a bloccare il traffico nelle città o ad occupare le università che osano farsi sovvenzionare da società petrolifere, probabilmente trascura un dettaglio solo apparentemente insignificante.

Il dettaglio in questione è che siamo nel 2023. Ovvero a 5 anni di distanza dal 2018. Ovvero, manca esattamente un anno alle prossime elezioni europee.

Anche nel 2018 mancava un anno alle elezioni europee, e del tutto…casualmente il ciclone Greta Thunberg si abbatteva ufficialmente sull’Europa con la sua consacrazione alla kermesse della COP24 in Polonia. Per bissare, appena qualche settimana dopo, con l’apparizione al Forum Economico Mondiale allorché i paperoni di tutto il mondo si diedero appuntamento a Davos per spellarsi le mani dagli applausi di fronte alla ragazzina che insultandoli (a parole), nei fatti apparecchiava loro la tavola per profitti trilionari grazie ai fondi ESG che gli stessi paperoni erano pronti a lanciare in borsa come tante mongolfiere (sponsorizzate Blackrock).

Il ciclone continuò ad imperversare sull’Europa nel 2019, intensificandosi ed articolandosi in iniziative che mobilitassero sempre di più i giovani (leggi Fridays for Future). La mobilitazione si rendeva evidentemente necessaria, in quanto pochi mesi dopo si sarebbe votato. E fu proprio il voto dei giovani recentemente convertiti al gretinismo, nelle analisi post-elettorali, a regalare il successo alle formazioni ambientaliste europee. Ed in particolare ai verdi tedeschi, artefici di un autentico exploit continentale.

5 anni

Cinque anni sono tanti, e a chi scrive viene un po’ da sorridere all’idea di come su questo Blog ci siamo divertiti a trollare i cervelli all’ammasso mandati prima in piazza con i loro insegnanti, e poi spintonati nelle cabine elettorali per fare avanzare una agenda di deindustrializzazione e di distruzione del tessuto sociale che andava prima di tutto contro l’interesse di quegli stessi giovani che credevano di salvare il mondo.

Eravamo in splendida solitudine, 5 anni fa, quando scrivevamo con cadenza quasi settimanale di quanto quella piattaforma “green” fosse in realtà una trappola mortifera per l’economia europea. E qui non viene da sorridere per niente, perché tutte le previsioni allora tacciate di catastrofismo fatte su queste pagine si sono puntualmente avverate, e la guerra in Ucraina ha fatto solo da acceleratore per quel processo di autodistruzione economica celebrato in Europa simbolicamente proprio dalla comparsa della ragazzina svedese.

Sono passati 5 anni, e gli indicatori economici certificano impietosamente che l’economia manifatturiera europea si sta letteralmente sfasciando, nel solito complice silenzio dei (tele)giornaloni. La Germania è ufficialmente in recessione, e dall’inizio della guerra è riuscita a marcare solo per due volte un segno positivo del PIL. L’economia manifatturiera europea segue a ruota, e l’Italia promette di farlo non appena si sgonfierà la bolla degli ecobonus edilizi, che da sola è riuscita a mantenere a stento in territorio “verde” gli indicatori economici nazionali.

Evoluzione del PIL tedesco – dati trimestrali

Tutto già (pre)visto

Gli ingredienti di questo disastro ferroviario al rallentatore ci sono tutti. C’erano tutti da tempo, e da tempo ne parlavamo. Innanzitutto, il meccanismo perverso delle quote di emissione di CO2 che mettono immediatamente fuori causa le industrie energivore europee sullo scenario competitivo mondiale.

Poi il costo del gas, che pur tra gli alti e bassi dell’ultimo anno può solo aumentare rispetto al passato, a causa della forzata sostituzione dell’economicissimo gas russo con il carissimo LNG americano. Che è un po’ come pretendere di sostituire la pasta asciutta nel menù di una famiglia media con i crostini al caviale. Forse riuscirai a sostituire le calorie perdute con l’eliminazione della pasta, ma andrai immediatamente in bancarotta per aver voluto sostituire il tuo cervello con quello di una gallina.

E poi i faraonici programmi di investimento di soldi pubblici in mulini a vento più o meno immobili, in campi solari realizzati in posti maledetti da nuvole e nebbia per 300 giorni all’anno. Per non dire dei deliri legislativi sul divieto di produrre motori a combustione, le tasse gigantesche e occulte sul traffico aereo e su quello stradale: camuffate da provvedimenti “green” ma in realtà destinate a distruggere quanto ancora rimane a fatica in piedi dell’industria europea.

A chi serve questa Europa?

Uno squarcio sui meccanismi che si celano dietro un’agenda suicida così manifestamente antieuropea si è aperto qualche settimana fa, nel silenzio quasi assoluto dei media. Un’esponente politica italiana si è dimessa dal suo incarico al parlamento europeo per la rivelazione che alcuni documenti parlamentari in tema di ambiente fossero stati redatti integralmente da una ONG ambientalista (la Clean Air Task Force – CATF) che con l’Europa (in teoria) non c’entra un beneamato nulla.

Basta una occhiata al sito (ce n’è uno curatissimo in italiano) per capire che si tratta di una ONG americana, il cui CDA è espresso quasi integralmente dagli Stati Uniti, e non fa mistero di avere evidenti legami con la politica e il mondo accademico liberal americano, ma che si auto-attribuisce evidentemente un ruolo centrale nella determinazione delle politiche europee.

Nell’attesa che Report e i suoi fratelli ci delizino con uno scoop giornalistico sul ruolo che CATF e altre ONG potrebbero avere nel sussurrare all’orecchio dei parlamentari europei il testamento di un suicidio economico annunciato, resta un dato di fatto: l’Europa, e solo l’Europa, si auto-impone misure clamorosamente ridicole e suicide in fatto di politica industriale con la giustificazione altrettanto ridicola di dover “salvare il mondo dalla CO2”, nonostante sia responsabile dell’emissione di appena il 9% della CO2 mondiale.

Nel contempo, gli stessi provvedimenti europei avvantaggiano chiaramente l’economia americana: a partire dall’approvvigionamento del gas, e per finire con la delocalizzazione in America delle aziende europee disperate per i costi insostenibili dell’energia, o attratte dagli sgravi fiscali anti-concorrenziali introdotti (nel silenzio complice dei soliti media) dalla presidenza Biden.

Il ritorno dei gretini

Cinque anni dopo, rieccoci qua. C’è una agenda di auto-distruzione economica europea mascherata da ambientalismo che bisogna continuare a portare avanti. A tutto beneficio di qualcuno che evidentemente europeo non è. Fra un anno ci saranno le elezioni e le cose, per i fautori di quella agenda, non vanno affatto bene.

In Germania i verdi aggiornano settimanalmente record negativi nei sondaggi politici. La mutazione genetica di un movimento fino a ieri dichiaratamente “pacifista” nel più accanito sostenitore del ritrovato militarismo europeo in chiave anti-russa pare non avere giovato in termini elettorali, anzi. E per giunta, il tracollo elettorale dei verdi si è tradotto simmetricamente nella crescita della loro nemesi politica: il partito di destra più “filo-russo” della Germania, l’AFD (in blu nel grafico di seguito).

Sondaggi politici tedeschi per le elezioni del 2025

Proprio in questi giorni di Pentecoste in cui i verdi tedeschi (evidentemente ricolmi di spirito salvamondista) intimano ai loro connazionali di non consumare più di 10 grammi di carne al giorno, i sondaggi certificano che dall’inizio della guerra AFD ha mangiato 20 punti percentuali nei sondaggi ai nemici giurati del wurstel.

Greta è una carta logora, 5 anni di sovraesposizione mediatica sono troppi anche per una super-eroina come lei, che per giunta ha adesso anche il grave handicap di essere diventata maggiorenne. Il tentativo del Partito della Decrescita Europea di sostituirla con dei nuovi ribelli armati di telefonini, colle epossidiche e vernice indelebile altro non è che una dichiarazione di intenti elettorali. Manca un anno alle elezioni europee, e la battaglia mediatica è appena cominciata. Da qui in avanti sarà un climax continuo fino alle prossime elezioni europee, un climax che come 5 anni fa vedrà nuovamente protagonisti i giovanissimi e le scuole.

Vedremo se anche questo tentativo avrà successo. Ovvero, se grazie all’ennesima mobilitazione “green” dei giovani europei si riuscirà a tener viva nelle urne quella agenda di decrescita economica che promette di distruggere per sempre il futuro di quegli stessi giovani.

 

 

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