Un clima meno sensibile, chi l’avrebbe mai detto?

Nell’immagine in copertina (credit a fine pagina), si vedono degli stratocumuli o shallow clouds in ambiente tropicale. Nubi anche definite trade winds, per trasposizione con i venti della fascia intertropicale, gli Alisei o, appunto trade winds. Trade significa commercio, perché con il loro soffio gentile e costante alle latitudini sopra e sotto l’equatore, gli Alisei accompagnavano i vascelli degli scambi commerciali attraverso gli oceani, garantendo traversate relativamente sicure e puntuali.

Dove soffiano gli Alisei, l’aria è abbastanza stabile e si generano le condizioni ideali per cui, appena sopra lo Strato Limite Planetario, ci sia un rimescolamento che da origine agli stratocumuli marini, nubi basse e compatte che svolgono anche un ruolo importante nel bilancio radiativo, riflettendo grandi quantità di radiazione solare incidente. Questo, tra gli innumerevoli e complessi aspetti delle dinamiche del clima, è uno dei più importanti, perché le aree in cui ha luogo sono vastissime e perché quelle sono latitudini dove la radiazione incidente è molto intensa.

Dalle simulazioni climatiche, il riscaldamento superficiale che riguarda anche il mare, dovrebbe avere l’effetto di aumentare il rimescolamento e, quindi, contribuire a far dissipare la nuvolosità, riducendone quindi gli effetti raffreddanti. Questo è quello che si definisce un feedback positivo: più riscaldamento, meno nubi, ancora maggiore riscaldamento.

Al netto della relazione diretta abbastanza nota tra gas serra e temperatura superficiale, quel che fa la differenza nella stima della sensibilità climatica – leggi aumento della temperatura all’aumentare della concentrazione di gas serra – sono appunto i feedback, che però devono essere ben interpretati e altrettanto bene simulati, altrimenti la stima non può definirsi realistica.

Come sempre dovrebbe accadere, per validare (o confutare) la capacità dei modelli di replicare il sistema, sono essenziali le osservazioni, cioè la ricerca sul campo. In poche parole, la realtà deve sempre prevalere sull’immaginazione. Le nubi e tutti i ruoli che giocano nel sistema, non fanno eccezioni.

Ecco che alcuni giorni fa, su Nature, è uscito un paper di alcuni ricercatori del Max Plank Institute in cui si dà conto di una campagna di osservazioni sui trade winds, i cu risultati sono sorprendenti. Il riscaldamento intensifica il rimescolamento, ma l’effetto di dissipazione della nuvolosità per essiccamento è sovrastato dalla generazione dinamica delle nubi, per cui la nuvolosità invece di diminuire aumenta, riflettendo più radiazione e dando luogo ad un feedback negativo, non positivo.

Da questi risultati si evincono due cose. la prima è che questo potrebbe essere uno di quei meccanismi di protezione interni al sistema che contribuiscono a mantenerne l’equilibrio piuttosto che accentuarne l’alterazione. La seconda è che, ancora una volta, le stime dei modelli, specialmente quelli che restituiscono valori di elevata sensibilità climatica, non reggono il confronto con le osservazioni, cioè con la realtà di quel che accade.

Il paper è liberamente accessibile sul sito di Nature:

Strong cloud–circulation coupling explains weak trade cumulus feedback

E qui trovate anche un commento su Phis.org:

Clouds may be less climate-sensitive than assumed

PS: naturalmente gli autori, pur ammettendo che i risultati sono sorprendenti e positivi in chiave di sensibilità climatica (e destino del clima), si sono anche affrettati a sottolineare che questo non significa affatto che si possano fare passi indietro sulla protezione del clima stesso. Come dar loro torto?

Enjoy

Foto di Kanenori da Pixabay

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