Un Inverno perfetto: ingredienti simili al gelido e nevoso 2009-2010

(TEMPOITALIA.IT) Paragonare con il passato: utili analogie senza facili fraintendimenti

Fare il paragone con il metodo del passato è sempre molto rischioso, anche perché si rischia fortemente di essere fraintesi. Premesso che il meteo del passato non torna in maniera uguale, dal tempo avvenuto in passato possiamo però trarre numerose informazioni per comprendere meglio quello che potrebbe succedere in futuro.

Innanzitutto, in questo inverno abbiamo diversi elementi – che ho chiamato ingredienti – con alcune similitudini rispetto all’inverno che poi si tramutò in gelido e nevoso del 2009-2010. Ovviamente non mi aspetto che possa replicarsi qualcosa del genere: qui stiamo discutendo esclusivamente di elementi di base, poi il tempo atmosferico nello specifico avrà tutto un susseguirsi proprio.

In quell’anno, già a dicembre 2009 si ebbe un moderato Stratwarming a metà dicembre, un po’ come quello che potrebbe avvenire quest’anno, tenuto conto che un primo riscaldamento della stratosfera c’è stato a novembre e che però non è stato sufficiente per invertire i venti da est verso ovest.

Ma attenzione: come leggerete qui di seguito, anche lo Stratwarming avvenuto a metà dicembre del 2009 – pur con conseguenze incredibili in Europa e in Italia – non invertì le correnti. Eppure dalla Siberia e dalla Russia europea giunse in Italia aria gelida, che poi diede luogo alla formazione di un cuscinetto di aria fredda in Pianura Padana, eccezionalmente gelido, che fu terreno ideale per nevicate nei giorni successivi e soprattutto per un vero e proprio blitz gelido poco prima di Natale.

Qui di seguito troverete numerosi elementi che abbiamo individuato in queste settimane. Ecco quindi ciò che accadde in quell’inverno, al fine di fornire una traccia eloquente della possibilità di ciò che potrebbe succedere se gli ingredienti dovessero combinarsi fra loro. Ed è per questo che vi stiamo raccontando con attenzione questo inverno. Ovviamente tutto può cambiare, anche perché tutti gli indici climatici in ambito previsionale sono sempre da confermare. Ma ogni bollettino meteo non è mai una certezza.

L’Inverno perfetto del 2009: quando il Vortice Polare congelò l’Italia

Sono trascorsi ormai sedici anni. Un’eternità, se guardiamo a come è cambiato il mondo, ma un battito di ciglia per la climatologia. Chi c’era, se lo ricorda bene. Non parlo di una semplice ondata di freddo, di quelle che ti costringono a tirare su la zip del piumino. Parlo di quel dicembre 2009 e del successivo inizio 2010, un periodo che per noi meteo-appassionati (e per chi rimase bloccato in autostrada) rappresenta una sorta di “Inverno Perfetto”.

Rileggendo gli appunti di allora e confrontando i dati, emerge una storia affascinante. È la cronaca di un’atmosfera che decide di rompersi, letteralmente.

Oggi il clima è cambiato, è vero – le temperature medie globali sono salite – ma diciamolo chiaramente: eventi di quella portata possono ancora accadere. Non basta il riscaldamento globale a cancellare la fisica dell’atmosfera. Se le pedine si allineano nel modo giusto, il “Grande Freddo” può ancora bussare alla porta. E quella volta, tra il 2009 e il 2010, bussò con una violenza inaudita.

 

Quando la stratosfera va in ebollizione

Tutto partì da lassù, a trenta chilometri dalle nostre teste. A metà dicembre 2009, i radar e i satelliti iniziarono a registrare qualcosa di anomalo. Uno Stratwarming.

In parole povere? La stratosfera si riscaldò improvvisamente. Immaginate il Vortice Polare come una trottola che gira veloce sopra il Polo Nord, tenendo imprigionata l’aria gelida. Se la colpiamo forte (con ondate di calore che risalgono dal basso), la trottola vacilla, rallenta e a volte si spacca. Tecnicamente, quello di metà dicembre fu classificato come un Minor Warming. Insomma, un riscaldamento “minore”. Ma di minore, lasciatemelo dire, ebbe ben poco negli effetti pratici.

Quel disturbo fu sufficiente a deformare il vortice e a spingere una lingua di aria gelida – aria artica siberiana continentalizzata, quella che i giornali amano chiamare Burian – dritta verso il cuore dell’Europa.

 

Il freezer della Pianura Padana

Prima della tempesta, ci fu il silenzio. Tra il 18 e il 20 dicembre, l’Italia settentrionale si trasformò in un congelatore a cielo aperto. È il famoso “cuscinetto freddo” della Val Padana. L’aria fredda, pesante e densa, si depositò nei bassi strati, incastrata tra le Alpi e gli Appennini. Con i cieli sereni e la neve al suolo caduta nei giorni precedenti (l’effetto albedo, che riflette la luce solare e impedisce al suolo di scaldarsi), le temperature crollarono.

Ricordo i dati di quelle notti, roba da non credere: in pianura friulana, stazioni come Udine Rivolto segnarono -18°C. In Emilia Romagna e Veneto, si viaggiava tranquillamente tra i -10°C e i -15°C. Uscire di casa significava sentire i peli del naso congelarsi all’istante. Era il palcoscenico perfetto. Il “catino” era pieno di aria gelida, pronto a reagire con violenza all’arrivo di qualcosa di più caldo.

 

21 Dicembre: la nevicata che fermò Milano

Ed ecco che arrivò. Il 21 dicembre, una perturbazione atlantica, carica di umidità e decisamente più mite, si scontrò con quel muro di aria gelida. La fisica qui non perdona: l’aria calda, più leggera, scorre sopra quella fredda.

A Milano e in tutta la Lombardia, fu il delirio. Iniziò come una nevicata scenografica, quasi poetica, per poi trasformarsi in un vero e proprio blizzard urbano. Caddero 30 centimetri in città, molto di più in Brianza. Il traffico andò in tilt proprio nei giorni dello shopping natalizio. Ma se in pianura la neve regalava paesaggi da cartolina e qualche imprecazione per gli automobilisti, verso sera la situazione iniziò a cambiare.

Le correnti calde di scirocco e libeccio, in quota, iniziarono a “mangiare” la colonna d’aria fredda dall’alto. La neve divenne pesante, bagnata. Era il preludio al caos del giorno dopo.

 

 

22 Dicembre: l’incubo di cristallo

Se il 21 fu il giorno della neve, il 22 dicembre 2009 rimarrà negli annali come il giorno del vetro. Mentre al Nord iniziava un disgelo disordinato, in Liguria e sull’Appennino tosco-emiliano si consumava il fenomeno più temuto da chiunque si occupi di meteo: il Gelicidio.

La dinamica è perversa. A Genova, resisteva la “Tramontana Scura”. Questo vento travasava l’aria gelida dalla pianura verso il mare, mantenendo la temperatura al suolo a -1°C o -2°C. Ma sopra, a mille metri, l’aria calda aveva ormai sfondato: c’erano +5°C o addirittura +8°C. La neve che cadeva dalle nubi si scioglieva attraversando lo strato caldo, diventando pioggia. Ma quando questa pioggia toccava il suolo – che era ancora sottozero – congelava istantaneamente.

Genova si svegliò vetrificata. Un guscio di ghiaccio trasparente, durissimo, il verglas, ricopriva ogni cosa: strade, marciapiedi, auto, cavi elettrici, rami. L’autostrada A26 e la A7 divennero piste di pattinaggio. Camminare era impossibile. Si sentiva il crepitio dei rami che si spezzavano sotto il peso del ghiaccio. Fu una giornata surreale, pericolosa, che mise in ginocchio un’intera regione.

Nel frattempo, a Milano, la neve si scioglieva in quella che i milanesi chiamano “paciara” o “paciugo”: un misto di acqua, neve marcia e fango che rendeva la città una palude gelida.

 

 

Gennaio 2010: il vero mostro si risveglia

Molti pensarono che fosse finita lì. “Abbiamo avuto il nostro inverno, ora basta”, si diceva. E invece no. L’atmosfera aveva in serbo il secondo atto, quello più strutturato.

Se l’evento di dicembre fu un raid veloce e violento, quello che accadde a fine gennaio 2010 fu una guerra di logoramento. Verso il 24-26 gennaio, si verificò un secondo riscaldamento stratosferico. Questa volta, però, fu un Major Sudden Stratospheric Warming (SSW) da manuale. I dati della NASA e dell’ECMWF furono inequivocabili: il Vortice Polare andò letteralmente in pezzi. I venti zonali si invertirono completamente. Non era una semplice frenata, era una retromarcia totale.

Questo evento ebbe conseguenze globali e durature, proiettando i suoi effetti su tutto il mese di febbraio.

 

L’Europa bloccata e la neve a Roma

La rottura del vortice portò l’indice NAO (North Atlantic Oscillation) su valori record negativi. Cosa significa? Immaginate che tra l’Islanda e la Groenlandia si formi un enorme muro di alta pressione. Questo muro bloccò le miti correnti oceaniche che solitamente ci riscaldano.

Il Regno Unito e il Nord Europa piombarono in quello che i tabloid inglesi chiamarono “The Big Freeze”. Freddo, neve, aeroporti chiusi per settimane. Un inverno vecchio stile, come non se ne vedevano dagli anni ’70.

E in Italia? Da noi il blocco al nord costrinse le perturbazioni a scendere di latitudine. Si aprì il “binario delle tempeste” nel Mediterraneo. Non fu tanto il freddo a colpire, quanto l’instabilità cronica. Pioveva sempre. I cicloni entravano uno dopo l’altro. E in questo contesto, il 12 febbraio 2010, una di queste perturbazioni riuscì a pescare aria fredda continentale residua, regalando una nevicata storica a Roma.

Vedere il Colosseo imbiancato è sempre un evento che ferma il tempo. Fu la ciliegina sulla torta di un inverno dinamico, forse l’ultimo vero grande inverno “vecchio stile” prima di una lunga serie di stagioni più anonime (fatta eccezione per il febbraio 2012, ma quella è un’altra storia). A Roma, secondo le cronache dell’epoca caddero pochi centimetri di neve.

 

La tempesta finale

Come in ogni opera drammatica che si rispetti, il finale fu tragico. La configurazione esasperata creata da quel Major Warming portò, a fine febbraio, alla genesi della tempesta Xynthia. Spinta da una corrente a getto bassissima, questa depressione esplosiva colpì la Francia atlantica e la Spagna con una violenza inaudita, causando vittime e devastazione. Fu l’ultimo colpo di coda di un vortice polare che, quella stagione, aveva deciso di riscrivere le regole.

 

Uno sguardo al futuro

Riguardando indietro a quei mesi, tra il dicembre 2009 e il febbraio 2010, ci si rende conto di quanto l’atmosfera sia un sistema complesso e interconnesso. Un riscaldamento invisibile a 30 km di altezza sopra il Polo può tradursi, settimane dopo, nel ghiaccio che ti fa scivolare sul marciapiede a Genova o nella neve che copre i fori imperiali a Roma.

Potrà succedere di nuovo? Assolutamente sì. Nonostante il trend del riscaldamento globale renda le ondate di freddo statisticamente meno probabili e mediamente meno intense, la dinamica degli Stratwarming rimane un meccanismo potente. Quando il Vortice Polare decide di rompersi, l’aria fredda deve andare da qualche parte. E il Mediterraneo è spesso una delle sue mete preferite. In fondo, sedici anni non sono poi così tanti. E l’atmosfera ha una memoria lunga, molto più della nostra.

 

Crediti e Fonti

Per la stesura di questo articolo sono stati consultati dati e archivi storici dei seguenti enti internazionali: (TEMPOITALIA.IT)

  • NASA Ozone Watch: Analisi delle temperature stratosferiche e dinamiche del Vortice Polare. Vai al sito ufficiale
  • NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration): Dati relativi agli indici teleconnettivi (AO e NAO). Vai al sito ufficiale
  • ECMWF (European Centre for Medium-Range Weather Forecasts): Reanalisi storiche delle configurazioni bariche sull’Europa. Vai al sito ufficiale
  • American Meteorological Society: Pubblicazioni scientifiche sugli eventi di Sudden Stratospheric Warming. Vai al sito ufficiale

Un Inverno perfetto: ingredienti simili al gelido e nevoso 2009-2010