Le prime ombre della sera del ventuno novembre cominciano a calare su Belém e sulle decine di migliaia di partecipanti alla COP 30. Passata la paura provocata dall’incendio scoppiato la sera precedente, i delegati affollano l’area dell’evento. La stanchezza e la delusione sono i sentimenti maggiormente diffusi tra i delegati: la speranza che la COP 30 riuscisse ad imprimere uno slancio nuovo alla lotta al cambiamento climatico, ha ceduto il passo al pessimismo ed allo sconforto.
Non è stato sufficiente neanche il “mutirão” (la tipica riunione brasiliana che indica il lavoro svolto per il bene comune) e su cui contava molto il presidente della COP André Corrêa do Lago, diplomatico di lungo corso, per sbloccare lo stallo in cui era precipitata la Conferenza, ad evitare il fallimento della trentesima Conferenza delle Parti.
L’inizio della fine si è verificato mercoledì, allorché un gruppo di Paesi in via di sviluppo ha proposto all’assemblea di individuare una “road map” per uscire dall’era dei combustibili fossili. Nel giro di qualche ora la proposta ha raccolto un’ottantina di adesioni, tra cui, manco a dirlo, l’Unione Europea ed il Regno Unito. Qualora la proposta fosse stata adottata, si sarebbe rotto un tabù: il mondo avrebbe iniziato il lungo percorso che avrebbe portato all’utopica fine dell’utilizzo dei combustibili fossili. La transizione energetica avrebbe avuto la sua data di nascita ufficiale e, seppur con molti distinguo, caveat e via cantando, la strada dell’umanità sarebbe stata tracciata.
Ciò che i proponenti non avevano calcolato, però, è che i Paesi produttori di petrolio e gas non avevano alcuna intenzione di rinunciare alla loro fonte di ricchezza e, a muso duro, hanno messo in chiaro, una volta per tutte che, se nel documento finale della COP 30 fosse solo comparso un riferimento alla “road map” per l’uscita dall’era dei combustibili fossili, l’accordo se lo potevano dimenticare. Poiché senza consenso alla COP non si va da nessuna parte, la Presidenza, volente o nolente, ha cancellato dalla bozza di risoluzione finale ogni riferimento alla fuoriuscita dall’utilizzo dei combustibili fossili. Agli Arabi si è unita anche la Russia, cui non sembrava vero di appioppare una sberla diplomatica all’Unione Europea ed al Regno Unito (la geopolitica fa il suo ingresso nel mondo delle COP) ed una cinquantina di Paesi Africani. La Cina, come da tradizione, non si è schierata né da una parte, né dall’altra: probabilmente la pensava più o meno come la Russia. Il risultato è stato una frattura netta nella COP 30 che ha portato al fallimento.
A nulla è valso il tentativo europeo di ribaltare le sorti della Conferenza, mettendo sul piatto della bilancia la disponibilità ad aumentare in modo significativo il proprio contributo al fondo per l’adattamento (a vantaggio dei Paesi in via di sviluppo) in cambio di un maggiore impegno nella mitigazione (abbandono dei combustibili fossili). Il muro contro muro è diventato totale ed i rappresentanti europei hanno deciso che era meglio non avere nessun accordo che un cattivo accordo. Il commissario europeo per il clima, Wopke Hoekstra, avrebbe espresso sgomento per il testo della dichiarazione finale proposto dalla Presidenza, perché, a suo giudizio, essa non conteneva alcun riferimento ai fondamenti scientifici del cambiamento climatico e del limite degli 1,5°C, nessun accenno a una transizione definitiva dai combustibili fossili e nessun riferimento al bilancio globale delle emissioni di diossido di carbonio. Secondo il commissario europeo la bozza manifestava solo debolezza e rappresentava una chiara violazione dell’accordo raggiunto durante la COP 29 sugli obiettivi di finanziamento per il clima. La bozza, in altri termini, era inaccettabile per l’Unione Europea. Continuando lungo la strada intrapresa dal cancelliere tedesco Merz che aveva pubblicamente criticato il clima, il cibo e l’intera città di Belém, suscitando il sacrosanto risentimento degli organizzatori brasiliani, il commissario europeo ha rincarato la dose, affermando di dubitare, a quel punto, della promessa del Paese ospitante brasiliano riguardo al fatto che la COP 30 sarebbe stata “la Conferenza della verità”.
Voci di corridoio sostengono che il commissario Hoekstra abbia proposto un nuovo testo della risoluzione finale della COP 30 in cui era riconosciuta la necessità di controlli annuali dei piani climatici di ciascun governo, noti come NDC (contributi determinati a livello nazionale) ed un chiaro riferimento alla necessità di contenere l’incremento delle temperature globali al di sotto di 1,5 °C rispetto all’epoca pre-industriale, sia da un punto di vista pratico che attuativo.
La polemica che si è sviluppata tra le parti è stata tale da convincere la presidenza brasiliana che una tabella di marcia per l’abbandono dei combustibili fosse fuori discussione, in quanto è inutile avviare un dibattito su qualcosa per cui non si riesce a raggiungere un consenso.
Aisha Humaira, capo delegazione per il Pakistan, ha riassunto in modo encomiabile, in una dichiarazione a The Guardian, la posizione dei Paesi in via di sviluppo ed ha messo a nudo l’ipocrisia di quelli sviluppati.
“È una questione di giustizia climatica: l’onere che i Paesi sviluppati portano con sé per il cambiamento climatico che si sta verificando, ora deve essere soddisfatto. Fa parte dell’Accordo di Parigi che i Paesi sviluppati debbano pagare per la transizione. Ecco perché l’articolo 9 è molto importante, e triplicare il fondo per l’adattamento non è una richiesta enorme”.
“I Paesi che hanno utilizzato tutte le fonti di energia negli ultimi 200 anni e hanno raggiunto l’apice della crescita industriale, eppure non hanno smesso di utilizzare tutte quelle fonti di energia, ci stanno dicendo di smettere di crescere. Questo è il problema. Ogni individuo è importante. Se un cittadino di un Paese sviluppato desidera vivere una qualità di vita elevata, lo stesso diritto esiste anche in un Paese in via di sviluppo.”
Come dargli torto? Eppure, è ciò che si vorrebbe che accadesse.
A questo punto era chiaro che la COP 30 non poteva finire li. Come si poteva annunciare al mondo il fallimento? Non poteva essere. E difatti non è stato.
Dopo la solita maratona di trattative protrattasi per tutta la notte e per l’intera giornata di sabato, dal cilindro dei delegati è fuoriuscito il solito coniglio: ma quale fallimento, la COP 30 è stato un successo perché la Conferenza ha trovato il consenso sulla dichiarazione finale. Ciò è scritto su tutti i mezzi di comunicazione e ciò sostengono la Presidenza della COP, il presidente brasiliano e molti altri portatori di interessi che animano il circo climatico, ma, ovviamente, non è vero.
Andiamo a dipanare, quindi, il groviglio che è venuto fuori dalla COP 30, perché di groviglio si tratta.
Iniziamo dalle fasi convulse dell’approvazione della risoluzione finale. Tale era la fretta di approvare la dichiarazione finale, da spacciare, successivamente, per un accordo, che il Presidente, nel corso della plenaria di chiusura, in modo molto irrituale, ha sancito con un colpo di martelletto l’approvazione all’unanimità del documento, incurante del fatto che diversi delegati chiedessero di intervenire per dichiarare la loro contrarietà (Panama, per esempio). Si è scatenato un putiferio tale che la plenaria è stata sospesa per diversi minuti. Calmatesi le acque, il Presidente dell’assemblea si è scusato con i delegati, ha rimproverato l’ufficio di segreteria per non aver segnalato la richiesta di intervento dei delegati, ha incolpato dell’accaduto la sua stanchezza e la sua età, ma… il voto non poteva essere reiterato: cosa fatta capo ha! All’anima dell’unanimità, della trasparenza e della democrazia! Per la prima volta, a mia memoria, una Conferenza delle Parti finisce con un bel trucco, altro che coniglio dal cilindro!
Comunque, una foto vale più di mille parole.

A seguito di questo colpo di mano la COP 30 si è avviata alla conclusione ed ha decretato il successo. Sarà, ora, il lettore a stabilire se di successo o meno si tratta.
Nel cosiddetto accordo finale, cosiddetto per i motivi che ho appena finito di esporre, non vi è alcuna traccia di tabelle di marcia per la fuoriuscita dall’epoca dei combustibili fossili e, cosa ancora più grave, non si fa minimamente cenno ad una tabella di marcia per porre fine alla deforestazione. Eppure, dicono che è un successo.
Il successo è che c’è stato un accordo. Che poi quell’accordo sia privo di significato è un altro discorso.
Personalmente sono dell’avviso che la COP 30 abbia sancito la spaccatura che, ormai, attraversa il mondo nella sua globalità e che interessa tanto i Paesi sviluppati, quanto quelli in via di sviluppo e che riflette le tensioni geopolitiche in atto. Si sono chiaramente delineate due posizioni che quasi si equivalgono (una novantina di Paesi per parte): una di “volenterosi” che ambiscono all’uscita dall’era dei combustibili fossili ed un’altra che intende approfittare delle opportunità che questi combustibili offrono (costi energetici bassi, sicurezza nelle fonti di approvvigionamento e benessere per i popoli dei Paesi produttori).
La COP 30, infatti, ha lasciato libertà alle Parti di abbandonare l’utilizzo dei combustibili fossili: l’azione è, quindi, solo volontaria. Nessun deliberato ONU legalmente vincolante obbliga alla rinuncia dell’uso dei combustibili fossili. È quello che volevano i produttori di petrolio, ed è quello che hanno ottenuto.
Per la deforestazione il discorso è del tutto analogo: chi vuole rinuncia a disboscare, gli altri procedono come vogliono. Una COP svoltasi alle porte della selva amazzonica, non è riuscita a raggiungere un accordo neanche sulla salvaguardia della foresta amazzonica! Eppure, dicono che è stata un successo.
Qualcuno dice che un piccolo passo in avanti c’è stato e rivendica il successo dell’iniziativa dei Paesi in via di sviluppo che hanno ottenuto il soddisfacimento della loro richiesta di aumento del fondo per l’adattamento: da 40 a 120 miliardi di dollari l’anno. Vediamo se anche questo è un successo o una presa in giro. Nel documento finale della COP 29 si prevedevano 40 miliardi di dollari l’anno a partire dal 2030, ora si parla di 120 miliardi di dollari l’anno, ma a partire dal 2035: campa cavallo …!
Questi 120 miliardi di dollari, comunque, saranno detratti dai 300 miliardi di dollari previsti lo scorso anno per il fondo perdite e danni: una semplice partita di giro. Potremmo anche dire che si tratta di una semplice presa in giro.
Nel documento finale della COP 30 è scritto che la guida delle decisioni dei politici deve essere la scienza così come definita dall’IPCC. Nella bozza iniziale della dichiarazione finale questo riferimento era del tutto assente, è comparso dopo che i Paesi industrializzati hanno promesso di triplicare il contributo finanziario per l’adattamento. Il riferimento all’IPCC rimette in gioco, infatti, il limite di 1,5°C all’innalzamento delle temperature globali rispetto all’epoca pre-industriale e, cosa più importante, ripristina il focus sulla mitigazione così cara ai Paesi sviluppati che, però, vorrebbero che a tagliare le emissioni fossero altri, in modo da poter comprare i loro certificati verdi e, così, continuare ad emettere. È per questo giochino crudele che essi hanno accettato il compromesso sul fondo per l’adattamento: ti diamo (forse, in futuro, vedremo) più soldi per l’adattamento, l’importante e che tu non emetta diossido di carbonio. Francamente uno schifo.
Non ci credete? E allora vediamo come è andata con gli NDC. Nel primo articolo che scrissi sulla COP 30, sottolineai che solo una parte dei Paesi partecipanti alla COP 30 aveva adeguato i suoi piani nazionali di emissione (volontari, pure questi). A detta degli esperti (vedi IPCC, per esempio), tali piani sono del tutto inadeguati a mantenere viva la speranza di contenere l’incremento delle temperature globali entro 1,5°C. Ci si sarebbe aspettata, quindi, almeno una dura reprimenda nei riguardi di qui Paesi che non avevano adeguato il loro NDC e un forte richiamo ad essere più ambiziosi, visto che buona parte degli inadempienti alberga tra le Nazioni più industrializzate.
Dalla dichiarazione finale della COP 30 e dai documenti annessi, risulta che le Parti si sono “accordate” a presentare nel corso della prossima COP 31 un programma per rendere “più veloce” la chiusura del divario tra ciò che si promette e ciò che si fa. Abbiamo recuperato un altro anno di tempo, si saranno detti i “ritardatari”. Un clamoroso nulla di fatto, ma la COP 30 è stata un successo.
Altro punto che si considera positivo, per modo di dire, riguarda l’accordo su un Meccanismo per una Transizione Giusta, un piano concordato da tutte le nazioni per garantire che il passaggio a un’economia verde in tutto il mondo avvenga in modo equo e tuteli i diritti di tutti, compresi i lavoratori, le donne e le popolazioni indigene. Parole bellissime, ma bastano delle buone intenzioni per decretare il successo della COP 30? Certamente no. E difatti tutte queste belle parole resteranno tali, in quanto la proposta di legare i finanziamenti per l’adattamento a tale meccanismo, è stata rigorosamente respinta dalle Parti. I Paesi “ricchi” hanno temuto che questo meccanismo sarebbe diventato un altro modo per “estorcere” soldi.
Ultimo aspetto che suggerirei di prendere in considerazione per valutare il successo della COP 30, riguarda il Paese ospitante la COP 31. Neanche su questo si sono messi d’accordo! I candidati erano due: Turchia ed Australia e nessuno dei due ha fatto il passo indietro chiesto dalla presidenza della Conferenza. Alla fine, si è deciso che la Turchia ospiterà la COP 31 ad Antalya, ma la presidenza e tutta la gestione sarà affidata all’Australia. Eppure, la COP 30 è stata un successo. Figuriamoci se fosse fallita.
Alla fine dei conti l’accordo raggiunto a Belém è del tutto privo di contenuti, un vuoto orpello, il cui unico scopo è quello di dimostrare che in un mondo devastato dai conflitti geopolitici in atto, il multipolarismo delle Nazioni Unite è ancora vivo! E questo nonostante gli Stati Uniti fossero assenti: possiamo farne a meno, sembra abbiano voluto sottolineare con questo cosiddetto accordo.
Per chi non se ne fosse accorto, è appena il caso di sottolineare che oltre ad essere deluso, sono anche un po’ arrabbiato per la presa in giro mediatica che si sta intessendo attorno a questa fallimentare COP 30. Poiché qualcuno potrebbe pensare che sono il solito vecchio bacucco che vede fallimenti dove ci sono successi, riporto una serie di reazioni cui sono debitore a The Guardian: non avendo partecipato direttamente alla COP e non avendo potuto raccogliere direttamente le reazioni dei delegati, ho dovuto attrezzarmi e, purtroppo, le uniche fonti sono quelle estere, in particolare The Guardian, Carbonbrief e pochi altri.
Jennifer Morgan, veterana della COP ed ex inviata tedesca per il clima, ha dichiarato:
“Sebbene ben lontano da quanto necessario, il risultato di Belem rappresenta un progresso significativo. L’accordo di Parigi sta funzionando, la transizione dai combustibili fossili concordata a Dubai [durante i colloqui della Cop28 del 2023] sta accelerando. Nonostante gli sforzi dei principali stati produttori di petrolio per rallentare la transizione verde, il multilateralismo continua a sostenere gli interessi del mondo intero nell’affrontare la crisi climatica“.
Mohamed Adow, direttore del think tank Power Shift Africa, ha dichiarato:
“In un contesto geopolitico sempre più frammentato, la COP 30 ci ha fatto fare qualche piccolo passo nella giusta direzione, ma considerando la portata della crisi climatica, non è riuscita a cogliere l’occasione. Pur autoproclamandosi leader del clima, i paesi sviluppati hanno tradito le nazioni vulnerabili, non riuscendo a realizzare piani nazionali di riduzione delle emissioni in linea con i principi scientifici”.
“La COP30, ha continuato, avrebbe dovuto concentrarsi principalmente sulla raccolta di fondi per aiutare le nazioni vulnerabili ad adattarsi ai cambiamenti climatici. Ma le nazioni europee hanno minato questi colloqui e privato i paesi poveri delle protezioni che cercavano a Belém.
“L’Europa, che ha colonizzato gran parte del Sud del mondo e poi lo ha messo ulteriormente in pericolo con le sue emissioni di carbonio, ora si oppone persino agli sforzi per aiutarla ad adattarsi alla crisi climatica”.
Ali Mohamed, inviato speciale per il clima del Kenya ha dichiarato:
“[La COP 30] ha riaffermato sia l’urgenza dell’azione per il clima, sia i rischi sproporzionati a cui sono esposti i più vulnerabili. Il Kenya e l’Africa sono pronti a guidare la transizione verso l’energia pulita, ma la resilienza e l’adattamento non possono rimanere un fattore secondario per un continente responsabile di meno del 4% delle emissioni globali di gas serra. I paesi sviluppati devono finalmente onorare i loro impegni finanziari”.
Teresa Anderson, responsabile globale per la giustizia climatica di ActionAid International, ha dichiarato:
“La mancanza di finanziamenti per il clima sta ostacolando il progresso climatico. I paesi del Sud del mondo, [che] stanno già sopportando i costi della crisi climatica che non hanno causato, hanno disperatamente bisogno del sostegno dei paesi ricchi se vogliono assumersi ulteriori impegni. In nessun caso questo è stato più evidente che sulla questione dei combustibili fossili, dove un testo specifico è finito ancora una volta senza finanziamenti e quasi tagliato”.
Carolina Pasquali, direttrice esecutiva di Greenpeace Brasile, ha dichiarato:
“Dobbiamo riflettere su ciò che era possibile e su ciò che ora manca: le tabelle di marcia per porre fine alla distruzione delle foreste, i combustibili fossili e la continua mancanza di finanziamenti. Oltre 80 paesi hanno sostenuto la transizione dai combustibili fossili, ma sono stati bloccati dall’accordo su questo cambiamento da paesi che si sono rifiutati di sostenere questo passo necessario e urgente. Oltre 90 paesi hanno sostenuto una migliore protezione delle foreste. Anche questo non è stato inserito nell’accordo finale. Purtroppo, il testo non è riuscito a produrre la portata del cambiamento necessario”.
Natalie Unterstell, presidente dell’Instituto Talanoa in Brasile, ha dichiarato:
“L’impegno a triplicare i finanziamenti per l’adattamento è ben accetto, in quanto risponde alla chiamata dei paesi meno sviluppati e di una coalizione globale. Ma spostare l’obiettivo al 2035 diluisce l’ambizione. L’adattamento non può aspettare, soprattutto perché i finanziamenti per i paesi in via di sviluppo sono in calo mentre gli impatti climatici accelerano”.
Secondo Erika Lennon, del Center for International Environmental Law,
“La verità alla COP 30, soprannominata la ‘COP della Verità’, è che i paesi stanno venendo meno ai loro obblighi legali. La Corte Internazionale di Giustizia ha confermato che mantenere l’aumento della temperatura al di sotto di 1,5°C è un parametro di riferimento legale. Non è uno slogan o parole scritte, ma una necessità per miliardi di persone, e il fallimento si misura in vite umane.
Senza un impegno per un’eliminazione graduale e completa dei combustibili fossili e un adeguato finanziamento pubblico per il clima, questo accordo [COP30] ignora la legge. I petrol-stati e i lobbisti dell’industria usano la regola del consenso per bloccare azioni e ambizioni. Ora dobbiamo riformare la UNFCCC affinché la maggioranza globale possa agire, a partire dalle norme sul conflitto di interessi e consentendo il voto a maggioranza.
Sinéad Loughran, di Trócaire, ha dichiarato:
“L’esito della Cop30 non riconosce nemmeno la cruda e devastante negligenza degli stati ricchi, storicamente molto inquinanti, nel rispettare i propri obblighi finanziari per perdite e danni. Il Fondo per la risposta alle perdite e ai danni rimane gravemente sottofinanziato, con conseguente negazione dei diritti umani fondamentali. Le comunità stanno affrontando siccità, inondazioni e altri eventi meteorologici estremi, che causano la perdita di case, vite umane e mezzi di sussistenza, e hanno diritto a un risarcimento per questo danno”.
Mark Preston Aragonès, responsabile della contabilità del carbonio presso Bellona, ONG ambientalista con sede a Oslo ha affermato:
“Lasciare Belém senza alcun seguito concreto su come colmare il divario di ambizione tra la scienza e gli impegni esistenti, e senza un piano per fermare la deforestazione né per abbandonare i combustibili fossili, rappresenta un risultato profondamente deludente che solleva seri dubbi sulla nostra capacità collettiva di affrontare la sfida climatica.
Raggiungere un consenso è importante e significa gettare benzina sul fuoco dell’accordo di Parigi, ma sarà assolutamente fondamentale mantenere la rotta intrapresa a livello nazionale.”
Ho riportato tutte le dichiarazioni maggiormente significative che sono riuscito a trovare. Anche quella di Jennifer Morgan per far toccare con mano lo stridente contrasto tra chi vuol fare propaganda e chi parla di fatti concreti; tra una narrazione di chi vive in una specie di universo parallelo, quello della lotta ai cambiamenti climatici e chi vive nell’universo reale.
Ed i fatti concreti sono che la COP 30 ha mancato completamente i suoi obbiettivi, checché se ne dica.