Roma, la neve del 12 Gennaio 2010. Perché è rilevante segnalarla

(TEMPOITALIA.IT) C’è una strana chimica nella memoria collettiva dei romani quando si parla di meteo. Se chiedete a chiunque abbia vissuto l’ultimo ventennio nella Capitale quale sia “la nevicata”, vi risponderanno quasi tutti indicando il Febbraio 2012. Ed è giusto, per carità. Quello fu un gigante, un evento mostruoso per durata e accumuli – il famoso “Big One” che paralizzò la città eterna sotto una coltre bianca e ghiacciata. Eppure, due anni prima, c’era stato un antipasto. Un evento forse meno ingombrante in termini di centimetri, ma decisamente più affascinante per la sua dinamica esplosiva.

 

Stiamo parlando di Venerdì 12 Febbraio 2010.

Chi c’era se lo ricorda bene. Non fu la classica nevicata da “cuscinetto” – quella situazione in cui l’aria calda scorre sopra uno strato freddo preesistente, regalando quei fiocchi larghi e lenti che scendono con grazia aristocratica. No, quella mattina l’atmosfera decise di giocare sporco. O meglio, di giocare duro. Fu un evento viscerale, un vero e proprio schiaffo gelido in pieno volto alla città.

 

La dinamica di un blitz atmosferico

Diciamolo subito: quello che accadde quel giorno ha un nome tecnico ben preciso. Fu un temporale nevoso. Una configurazione che manda in estasi gli appassionati di meteorologia e nel panico il traffico urbano. La differenza è sostanziale. Mentre le nevicate da scorrimento sono prevedibili, lente e costanti, il temporale di neve è una bestia imprevedibile, “a macchia di leopardo”. È cattivo, rumoroso, scenografico.

Quella mattina del 12 Febbraio, l’aria sopra l’Italia centrale era instabile, carica di energia. Non si trattava di una perturbazione classica, ma di un nucleo di aria gelida in quota che, contrastando con strati più bassi relativamente meno freddi, innescò moti convettivi violenti. Insomma, le nuvole non si limitarono a coprire il cielo; si gonfiarono verticalmente come accade in estate, ma con temperature invernali.

Il risultato? Un cielo che divenne nero, plumbeo, minaccioso in pochi minuti. E poi, il suono. Sentire tuonare mentre nevica è un’esperienza dissonante, quasi onirica. Eppure accadde proprio questo: lampi, tuoni e una neve che non cadeva verticale, ma orizzontale. Spinta da raffiche di vento gelido – una sorta di blizzard in miniatura che investì i sette colli tra le 10:30 e le 12:00.

 

Tra il centro e la periferia: una città a due facce

La natura irregolare di questo fenomeno creò scenari completamente diversi a distanza di pochi chilometri. È il bello – e il brutto – dei rovesci temporaleschi. Se vi foste trovati nel Centro Storico, avreste assistito a una nevicata coreografica ma fugace. Sui tetti, sulle auto parcheggiate e sui monumenti si depositarono circa 2-3 cm di manto bianco.

L’immagine del Colosseo o della cupola di San Pietro spolverati di bianco fece, com’è ovvio, il giro del mondo in pochi istanti. Turisti e romani col naso all’insù, smartphone – quelli che c’erano all’epoca – pronti a scattare. Tuttavia, a terra la situazione era diversa. Sulle strade principali del centro, l’asfalto e i sampietrini mantennero temperature al limite, oscillando intorno agli 0°C o poco sopra. La neve faticava ad “aggrapparsi”, trasformandosi presto in quella poltiglia acquosa che a Roma chiamano affettuosamente (si fa per dire) paciugo.

Spostandosi però verso la periferia Sud ed Est, la musica cambiava radicalmente. Quartieri come l’EUR, l’Appia e la Tuscolana si trovarono proprio sotto il cuore del rovescio più intenso. Qui l’intensità della precipitazione fu tale da abbattere la temperatura al suolo in pochi minuti, permettendo accumuli che raggiunsero i 4-5 cm, con punte di 6 cm in alcune aree verdi dell’EUR.

In queste zone l’effetto fu straniante: strade bianche, traffico in tilt, un silenzio ovattato rotto solo dal rombo dei tuoni. Sembrava di essere stati teletrasportati improvvisamente a centinaia di chilometri più a nord, o in una di quelle cartoline natalizie che sembrano sempre un po’ finte. Invece era tutto vero.

 

La sorpresa del litorale romano

Ma forse, il dato più eclatante di quella giornata arrivò da dove meno te lo aspetti: il mare. Solitamente il litorale laziale, mitigato dalla presenza del Tirreno, è l’ultimo a vedere la neve e il primo a vederla sciogliere. Quel 12 Febbraio 2010, però, le regole saltarono.

Le zone di Fiumicino e Ostia furono colpite duramente. Vedere la spiaggia coperta di bianco è un evento rarissimo, qualcosa che accade forse una o due volte in una generazione. Si registrarono accumuli temporanei tra i 3 e i 5 cm persino sulla sabbia e sulle strade costiere. Un evento eccezionale che testimoniava la violenza e la penetrazione dell’aria fredda nei bassi strati, capace di vincere anche la resistenza termica del mare.

 

Un evento “mordi e fuggi”

La magia, però, durò poco. Come tutti i temporali, anche quello nevoso esaurì la sua energia con la stessa rapidità con cui si era palesato. Fu un evento “mordi e fuggi”. Già nel primo pomeriggio, le schiarite e il fisiologico rialzo termico diurno fecero il loro lavoro.

Nel centro città la neve capitolò quasi subito, sciogliendosi e lasciando solo pozzanghere e ricordi. Resistette un po’ di più nei parchi – Villa Borghese, Villa Pamphili – e sulle auto parcheggiate all’ombra, o nei quartieri più periferici dove lo strato era stato più consistente. Ma entro sera, di quella sfuriata bianca restava ben poco di tangibile, se non l’umidità penetrante nelle ossa.

 

Perché quel giorno conta ancora

Se tecnicamente fu un episodio breve e, per certi versi, modesto negli accumuli, perché ne stiamo ancora parlando? Perché psicologicamente fu uno spartiacque. Bisogna considerare il contesto: Roma venivano da un digiuno nevoso lunghissimo.

Per trovare una nevicata “vera” con accumulo in centro, bisognava riavvolgere il nastro della memoria fino al mitico Febbraio 1986 (o al 1985, l’anno della nevicata del secolo, a seconda della zona della città che si prende come riferimento). C’era un’intera generazione di ventenni che non aveva mai visto la propria città imbiancata se non in foto sbiadite o nei racconti dei genitori.

Quell’evento del 2010 ruppe l’incantesimo. O la maledizione, a seconda dei punti di vista. Riabituò l’occhio dei romani alla Dama Bianca, ricordando a tutti che sì, l’inverno può fare sul serio anche a queste latitudini. In un certo senso, preparò il terreno – emotivo e logistico – a ciò che sarebbe accaduto due anni dopo, nel 2012, quando la storia si ripeté ma con una violenza e una persistenza ben diverse.

Quella mattina di febbraio del 2010 rimane un piccolo gioiello meteorologico incastonato nella storia climatica recente della Capitale. Un temporale furioso, improvviso, che per un paio d’ore trasformò il caos quotidiano di Roma in un paesaggio nordico, regalando silenzio e stupore prima di svanire come un sogno al risveglio.

 

Fonti e approfondimenti meteorologici: (TEMPOITALIA.IT)

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